Avvocati copioni. Uno dei 103 ‘furbetti’ rompe il silenzio ‘all’esame ho visto di tutto’

Un aspirante avvocato, coinvolto nell’inchiesta sui compiti copiati per l’abilitazione alla professione nel 2012, decide di rompere il silenzio. Parla e lo fa in forma anonima ‘Si vuol far passare serio e pulito un esame che è marcio ed inutile’.

«Ho sostenuto l’esame di avvocato per ben 3 volte ed in questi tre anni ho veramente visto di tutto di più: da avvocati che ricoprono le vesti di commissari, appositamente quando i candidati sono i loro stessi praticanti di studio (informazione questa facilmente reperibile e dimostrabile), a ragazzi che ricevevano  il compito bello e fatto dai più grossi studi forensi di Lecce, Brindisi, Taranto e dintorni. La vigilanza ed il controllo in quell’esame proprio non c’è. Si vuol far passare serio e pulito un esame che è marcio ed inutile».
 
A prendere carta e penna e togliersi qualche sassolino dalla scarpa è un ragazzo che quel giorno c’era e ha visto e che oggi è finito nel lungo, lunghissimo, elenco dei “103 avvocati copioni” finiti nei guai al termine delle complesse indagini preliminari condotte dalla Procura della Repubblica di Lecce. ‘Scopiazzare’ durante un concorso pubblico è un reato e come tale va punito: 11mila euro nel caso dei ‘furbetti’ in questione che nel 2012, esattamente l'11, 12 e 13 dicembre, avevano sostenuto presso il complesso universitario "Ecotekne" di Lecce la prova scritta per il conseguimento dell'abilitazione all'esercizio della professione forense.
 
L'indagine è stata effettuata dalla polizia postale di Bari e Lecce, che spulciando migliaia di mail e sms ha scoperto come durante i test gli esaminandi abbiano inviato le tracce a persone di fiducia o studi legali, ottenendo indietro i compiti già compilati. Altri furbetti hanno, invece, attinto le informazioni su Internet, consultando siti specializzati, senza nemmeno prendersi la briga di rielaborarli, mentre i più generosi hanno fatto copia fotografica dei compiti corretti e li hanno inviati agli amici, impegnati nella stessa prova, tramite WhatsApp. Era dunque impossibile, per la Corte d'appello di Catania, chiamata a correggere le prove d'esame sostenute a Lecce non accorgersi delle anomalie, rispedendo di fatto al mittente il centinaio di elaborati sospetti.
 
«Nella sessione del 2012 – continua il giovane nella lettera inviata alla nostra redazione –  io stesso ho visto docenti noti di cui ora non faccio nomi di diritto civile, commerciale e noti avvocati e magistrati appartarsi su nei pressi della chiesetta dell’ekotecne con alcuni candidati e dettarne completamente  il compito».
 
Il ragazzo che preferisce restare anonimo non nega quanto accaduto, anzi descrive quasi con dovizia di particolari le scene che ha avuto modo di vedere con i suoi occhi «I bagni all’interno del plesso erano si un covo di testi, fotocopie e persone che liberamente accedevano ad internet cosi come agli smartphone;  tranquillamente  si poteva chiamare chiunque e ricevere ogni genere di dettatura anche telefonica. Così come nelle aule tantissimi erano i ragazzi con i portatili sulle gambe o nelle valigie o ancora tanti quelli che usavano gli auricolari bluetooth, che ricevevano  telefonate ed in alcuni casi anche sotto gli occhi di alcuni i commissari che facevano finta di nulla».
 
Poi cerca di chiarire la sua posizione «Ora io mi trovo ad essere indagato in un processo mediatico ed assurdo che vuol punire in modo esemplare 103 ragazzi per qualcosa che è una mala prassi da anni. Io personalmente nel 2012 mi sono recato a sostenere l’esame senza smartphone, né alcun altro genere di strumento informatico, ho redatto i miei pareri con eccesso di zelo e solo frutto del mio studio e delle mie ricerche e approfondimenti personal , ma più volte durante lo svolgimento della prova mi sono recato in bagno dove l’accesso ai servizi per via del grande affollamento era molto lento lasciando il mio compito alla mercé di tutti; chiunque poteva prender il compito, leggerlo, fotografarlo con smartphone, farne ciò che desiderava, perché pur trovandomi in un aula piccolina il commissario nella mia aula non c’era proprio».
 
Ora, alla luce di quanto successo e che non rappresenta di certo una novità per chi quell’esame lo ha ripetuto più e più volte e con una multa di 11mila euro da pagare (la Procura ha chiesto la condanna convertita in pena pecuniaria), il giovane avvocato non ha dubbi: ritiene di essere rimasto vittima di un’ingiustizia. «Mi ritengo – conclude – una vittima di un sistema fallo, ritengo di  dover subire tutta questa diffamazione del mio nome sulla bocca di tutti in modo ingiusto ed inappropriato e di dover pagare insieme con altre 102 persone, qualcosa che per anni, altri miei colleghi solo ed esclusivamente  più fortunati  invece non hanno pagato. Provvederò a fare ricorso e mi difenderò nel modo più appropriato perché la sessione del 2012 più che mai rispetto alle altre sessioni dovrebbe essere annullata per tutti quanti senza penalizzare alcuni più sfortunati rispetto ad altri». 



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