Caso Imid, parla Mauro Minelli: ‘cattiverie e invidie, ma l’incubo è finito’

Leccenews24 ha voluto ascoltare Mauro Minelli, già Dirigente Responsabile del Centro Imid-Umit di Campi Salentina, all’indomani della decisione del Gip di archiviare il procedimento a carico del medico.

All’indomani dell’archiviazione dell’indagine sul caso Imid, il dottor Minelli ha risposto alle domande di  Leccenews24, esprimendo la soddisfazione umana e personale per come si è conclusa una vicenda dolorosa per lui, ma soprattutto per i pazienti del centro di Campi salentina rimasti orfani di un’assistenza specializzata.
 
Dottore l'ordinanza di archiviazione mette fine ad una vicenda giudiziaria che ha prodotto conseguenze sul piano personale e sociale. Come spiega l'esito dell'indagine?

Gli esiti a cui lei fa riferimento sono il risultato di un’attenta e completa valutazione, da parte della Magistratura, degli elementi acquisiti nel corso di un’indagine molto ampia e articolata sviluppatasi nell’arco temporale di tre anni, oltre che di quelli offerti, con grande maestria e competenza, dagli avvocati Giuseppe Terragno e Anna Centonze, miei difensori.

I riscontri forniti con ampia dovizia di motivazioni nei due distinti decreti di archiviazione prodotti, in tempi differiti, dalla Procura della Repubblica di Lecce confermano, nella sostanza, la correttezza di una condotta che ha caratterizzato senza soluzioni di continuità l’entusiastica attività sostenuta dal Centro IMID di Campi Salentina, pur a fronte di diffamanti insinuazioni pubblicamente sostenute a discapito della struttura e di chi in essa operava con dedizione e passione.
  
Cosa si sente di aver perso e cosa le è pesato maggiormente, al di là degli aspetti personali ed umani…
Gli effetti personali e umani sono stati e continuano ad essere pesanti oltre ogni limite. Basti pensare all’allontanamento, tuttora necessario, dalla mia famiglia e dai miei affetti, dalla mia casa, dalla ordinarietà delle mie cose pure costruite in anni laboriosi di impegno costante e totalmente dedicato alla professione. D’altro canto, non avessi adottato l’opzione del mio trasferimento, non avrei potuto ottenere l’iscrizione presso altro ordine professionale – quello di Potenza in particolare – che, nel luglio del 2014, mi ha accolto dopo che un iniquo provvedimento disciplinare (attualmente al vaglio della Suprema Corte di Cassazione) mi aveva, per gli effetti di una decisione collegialmente assunta dal consiglio dell’Ordine dei Medici della Provincia di Lecce, temporaneamente sospeso dall’attività professionale. Oltre a questo mi è molto pesato dover abbandonare un progetto, quello del Centro IMID, nel quale erano state evidentemente profuse tante energie e riversate infinite aspettative, con la conseguente polverizzazione e dispersione di straordinarie potenzialità che, insieme a me, avevano convintamente e sapientemente operato acquisendo know-how inediti e preziosi.
 
Il Centro IMID – tutto parte da lì – non c'è più! Non le sembra un prezzo troppo alto da pagare rispetto ad un'indagine archiviata?
Il prezzo, molto in definitiva, l'han pagato anche e soprattutto i tanti pazienti che sono rimasti orfani di una specifica assistenza “dedicata” che il Centro IMID riusciva ad assicurare. E’ indubbia la rilevanza di un pegno così tanto oneroso da pagare, tra l’altro, in cambio di non si sa che cosa. Voglio dire che se qualcuno, oggi, dovesse chiedermi un “perché”, una ragione più o meno plausibile, una motivazione credibilmente accettabile della tristissima sequela di eventi che hanno fatalmente segnato la mia vita in questi ultimi quattro anni, in tutta onestà io non saprei fornire spiegazioni verosimili e, men che meno, logiche.
  
Certo, il Centro IMID oramai si configurava come realtà riconoscibile, apprezzata, frequentata, dotata di discreto appeal scientifico e di indiscutibile (e ben documentata) attrattività verso pazienti di fatto provenienti da moltissime regioni d’Italia. Ma – continuo a chiedermi – può bastare un’inconfessabile acrimonia pur eventualmente sostenuta da un coacervo di spiacevoli sentimenti soggettivi (invidie, gelosie, rabbia) per giustificare un’aggressione così violentemente distruttiva e discreditante, qual è stata quella metodicamente somministrata a nostro e mio personale discapito? Il dubbio, pur non escludendo le ipotesi già sostenute, continua a rimanere.
  
Minelli, da eroe di frontiera, è passato, in pochi mesi, a fuorilegge con una taglia sulla testa. Si sente riscattato?
Il sollievo di essere uscito da un incubo indubbiamente consola rispetto alle amarezze, agli scompensi, ai disagi abbondantemente provati, ma altrettanto certamente non ripaga dei danni morali e materiali sofferti. E’ la consapevolezza postuma, affatto percepita durante il transito caotico delle fasi più drammatiche e dolorose, di aver dovuto affrontare e trascorrere prove durissime associate a qualcosa che assomiglia molto ad una montante depressione morale che, oltre ad erodere progressivamente le energie fisiche, rischia di far vacillare e sconvolgere la mente. Soprattutto risulta insostenibile il senso di isolamento che subentra anche per effetto di quelle che credevi amicizie e che, invece, non tardano a squagliarsi. Sensazioni terribili e umilianti, tanto più quanto più generate da falsità e malignità montate  ad arte.
 
Poi, però,  la verità fa capolino e con essa, nonostante l’ineludibile e cospicuo danno economico, la graduale e gratificante riabilitazione che riesce a trascendere il puro aspetto pecuniario.
Credo sia questa sorta di gratificazione morale il riscontro più piacevole e positivo della attesa fase di recupero, ancor più appagante e premiante in quanto derivante da un periodo assai sofferto della vita professionale e, spero, propedeutico al superamento del rammarico di ciò che avrebbe potuto essere se tutto ciò che è stato costruito con convinzione e fatica non fosse stato barbaramente demolito. 
  
Chi ringrazia per il lieto fine della vicenda?
Oltre che alla Magistratura e agli inquirenti, per il lavoro svolto con straordinaria costanza e determinazione, esprimo viva gratitudine ai miei avvocati difensori, il cui impegno e dedizione sono stati fondamentali per il raggiungimento di questo risultato.
   
Non posso, tuttavia, non menzionare la mia famiglia che, pur smembrata per gli effetti di una separazione illogica, anomala, innaturale qual è stata quella impostami da una obbligata migrazione in altra regione, ha retto all’impatto di un trauma così violento diventando, soprattutto nei momenti tutt’altro che infrequenti in cui la disperazione superava il ragionamento, risorsa vitale, accorta ed insostituibile nella definizione delle decisioni più lucide, utili e corrette.
   
Sentimenti di riconoscenza, evidentemente sostenuti dalla motivata considerazione del ruolo insostituibile acquisito quasi “di diritto” dopo anni di valida, intensa e fedele collaborazione, esprimo anche a chi non ha mai abbandonato la barca nemmeno nelle fasi più tempestose della bufera ad esclusivo beneficio dei Pazienti, destinatari ultimi – ma non ultimi – del mio grazie più grande. Va a loro il mio più commosso apprezzamento per la stima, la fiducia incondizionata e l’affetto impagabile che hanno voluto e saputo dimostrarmi, concedendomi il privilegio – verosimilmente non comune – di poter tenere alta la testa persino nei momenti più oscuri e deprimenti dell’ignominia e della cattiveria. 
 
 



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