“Nessun posto bello come casa mia”, viaggio finito. Davide Urso torna nella sua Andrano

Al 59esimo giorno di viaggio, Davide Urso torna in Salento, nella sua Andrano. Finisce un’esperienza che ha appassionato la redazione, ma soprattutto i lettori di Leccenews24.it

Giorno 59 – Andrano, km 17386

Da dove inizio a raccontare il giorno più lungo ed emozionante del viaggio? Da dove inizio a descrivere il giorno più entusiasmante degli ultimi anni? Fin da quando sono partito ho pensato che la più grande emozione sarebbe stata arrivare a Capo Nord, laddove mi ero prefissato di arrivare, ma avevo sbagliato, perché il vero obiettivo era terminare il viaggio, non arrivare a metà. Ho pensato a tanti ipotetici scenari nei quali si poteva concludere l’esperienza, ma nessuno prevedeva il non approdo ad Andrano, nel paese in cui sono cresciuto. Sarei arrivato trionfante, avrei clacsonato negli ultimi 5 chilometri, mi sarei fermato al bar del paese dicendo a mio padre di venire in piazza, ma anche che avrei fatto un incidente (non è pessimismo, ma è probabile che accada in 17mila chilometri) e che sarei ritornato in treno, che l’auto si sarebbe fermata e qualcuno sarebbe venuto a prendermi. Qualsiasi scenario, sul serio, ma io dovevo arrivare ad Andrano.

La mattina, non fosse stato per mio zio, sarei entrato nella zona a traffico limitato per prendere una dei tre passeggeri di BlaBlaCar: ci eravamo dati appuntamento vicino alle due torri, per poi dirottare sul piazzale della stazione centrale. “Di dove sei?” “Di Martina Franca ma ho il fidanzato a Tricase” “A Tricase? Io ci ho vissuto 5 anni, chi è” “Lorenzo” “Davvero? Lo conosco!!” “Sto scendendo per fargli una sorpresa” “Anche io sto facendo una sorpresa alla mia famiglia”. Così per tutto il viaggio, parlando delle amicizie in comune, delle associazioni, del livello disastrato del meridione, di quanto sarà bello arrivare a casa e vedere la faccia sorpresa dei nostri cari. Sul sedile posteriore una coppia di fidanzati con un gatto, che era come non esistessero: tutti e tre dormienti per l’intero viaggio. Mentre io e la mia nuova amica a chiacchierare tutto il tempo. Ogni tanto lei, che era la prima volta che usava questo stupendo sistema di condivisione dell’auto, esclamava “Madò, siamo già a Pescara”, “Mah, siamo in Puglia”.

Facile dire che siamo in Puglia, è mezzo viaggio, sono 400 km da Foggia ad Andrano… è davvero lunga, ma dopo 21 nazioni ero nel mio paese, nella mia regione. Avendo mezza famiglia barese, la mia zona di comfort inizia in quella provincia, quando leggo i cartelli di Giovinazzo. Iniziavo già a sentirmi a casa.

A Brindisi ho lasciato la coppia e da una volta entrato nella tangenziale di Lecce il cuore ha avuto un sussulto. Potete credere che stia esagerando, che stia inventando, vi capirei, oppure potete cercare di capire cosa significhi per me tutto questo e credermi sulla parola.

Superavo Zollino, Maglie, Scorrano, Montesano, quindi Tricase, dove saluto Chiara e preparo le due telecamere per registrare il momento di arrivo a casa: una rivolta verso la camera e una verso di me; penso che potrò usarle per la chiusura del video relativo al viaggio, ma soprattutto penso che sarà la mia personale testimonianza di avere compiuto un’impresa, un’impresa personale, di un valore enorme, in termini di autostima, di esperienza, di superamento dei miei limiti: di traguardo raggiunto.

Da lontano intravedo le luci intermittenti del segnale di benvenuto ad Andrano, per coincidenza posti esattamente dove inizia il viale di casa. Mi sento emozionato ma anche preoccupato. “Se arrivassi e non ci fosse nessuno a casa? Che delusione sarebbe!” Ero troppo voglioso di rivedere i miei cari per fermarmi a 300 metri, inventare qualche stratagemma per assicurarmi che fossero in casa, quindi ho azionato la freccia sinistra, ho rallentato e mi sono fermato al cancello automatico.

Citofonare e dire “Sono Davide” non mi dava soddisfazione, molto meglio scavalcare, aprire manualmente il cancello ed effettuare un ingresso sornione davanti al portico di casa.

Dal video che ho rivisto ho notato le labbra allargarsi sempre più, come fosse qualcosa di una categoria differente al sorriso. Credo si possa definire come gioia. Felicità. Ero quello che sentivo. Ero felice, come lo sono stato molte altre volte in questo viaggio, chiaramente in quel momento lo ero molto di più. Era un tipo di felicità multipla. Felice per avere raggiunto un traguardo, felice per l’accumularsi di esperienze che non credevo mi avrebbero entusiasmato tanto, felice per scorgere il petto nudo di mio padre, seduto sul tavolo del porticato. Ha piegato la testa verso il basso, come per concentrarsi meglio e capire di chi fosse quell’auto. Poi lo ha capito e ha sorriso. Non è una persona di molte parole, ma le poche che pronuncia portano peso, soprattutto non è uno che concede molte soddisfazioni, non è uno che esprimerebbe la contentezza di vedermi. Difatti, appena sceso dall’auto, il suo “E tie che ca**u faci quai?” (e tu che ca**o fai qua?) completa l’atmosfera, mai come questa volta magica.

Poi Chicca, la mia cagnolina di otto anni che è abituata a vedermi poche volte l’anno, felice, non riesce a controllare la foga; la abbraccio, la prendo in braccio, la bacio, mi faccio leccare, la stringo forte; scende, saltella, mi sale addosso, mi gira attorno, la riprendo in braccio, mentre lei si fa tenere, come un bambino.

Esce, finalmente, mia sorella, che non si era accorta di nulla; grida “Daddeeee” e mi abbraccia stringendomi forte. Sono felice; sono un uomo fortunato. A volte la fortuna e la felicità bisogna andare a cercarle, bisogna conquistarle, hanno un sapore diverso. Mi sento a casa. Sono a casa. Ho vinto. Potrei visitare ogni angolo del pianeta, nessun posto sarà bello come casa mia.

Davide Urso



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