La retorica della meritocrazia aumenta la distanza tra chi ha e chi non ha. L’editoriale di Enrico Mauro

La Costituzione italiana è scritta per i bisognosi, non per gli eccellenti, per chi ha bisogno dell’aiuto pubblico, non per chi ce la fa benissimo da solo.

Nel 1968 il sociologo Robert Merton denomina «effetto Matteo» o «principio Matteo» o «principio del vantaggio cumulativo», con particolare ma tutt’altro che esclusivo riferimento alle scienze, il fenomeno per cui coloro che sono ricchi e famosi tendono a diventare comparativamente più ricchi e famosi e coloro che sono poveri e oscuri tendono a divenire comparativamente più poveri e oscuri. Il riferimento è a un passo del Vangelo di Matteo: «A chiunque ha verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha verrà tolto anche quello che ha». Qualcuno aveva parlato prima di Merton di «effetto di valanga» e si potrebbero trovare altre etichette, ma il senso non cambierebbe di molto: il vantaggio produce vantaggio, in termini sia economici che di visibilità.

Ecco perché i difensori della retorica dell’eccellenza, con riferimento a scuole, università, ospedali e quel che si voglia condannano i propri territori a un destino sempre più triste se i territori in questione sono tra quelli che nelle gare di eccellenza partono svantaggiati. Lo svantaggio quasi certamente aumenterà. E non per pigrizia dei docenti, dei ricercatori, dei medici e così via.

Quasi del tutto inutile, dunque, invocare più impegno o punizioni più severe per chi lavora poco e male. Difficile lavorare molto e bene quando si lavora senza mezzi o con mezzi comparativamente più poveri di quelli a disposizione degli avvantaggiati.

I finanziamenti basati su criteri di eccellenza, anziché su criteri di ridistribuzione (compensazione, perequazione, uniformazione, diffusione ecc.), non faranno che distanziare sempre più i già-eccellenti dai non-ancora-eccellenti (che probabilmente non lo saranno mai). Chi oggi vince non solo continuerà a vincere, ma vincerà con sempre maggiore facilità e con sempre maggiore distacco.

In ‘virtù’ delle politiche dell’eccellenza sempre più si migrerà verso le eccellenze per studiare, fare ricerca, curarsi… Non perché altrove siano più svegli, ma perché le politiche di cui si tratta sono pensate per ottenere esattamente il triplice obiettivo di spendere complessivamente meno, di concentrare le risorse, di concentrare i talenti.

«Eccellenza» sembra una parola magica, chissà perché. Invece significa selezione di pochi, dunque esclusione di molti. Significa concentrazione di risorse, cioè il contrario di quella diffusione di risorse che permetterebbe in tutti i territori di frequentare scuole, università, ospedali di buona qualità.

D’altro canto, la Costituzione italiana è scritta per i bisognosi, non per gli eccellenti, per chi ha bisogno dell’aiuto pubblico, non per chi ce la fa benissimo da solo. Chi afferma il contrario non l’ha letta. Se l’ha letta, non l’ha capita. Se l’ha capita – ammettiamo l’inverosimile –, la strumentalizza alla propria convenienza.

Nella nostra Costituzione c’è il «merito», ma non la «meritocrazia», così come c’è il «partito», ma non la «partitocrazia». Alla nostra Costituzione non interessa tanto l’eguaglianza meritocratica dei punti di partenza quanto un ragionevole avvicinamento dei punti di arrivo. Non dobbiamo essere tutti uguali, ma non può esistere società dove la diseguaglianza è tale che pochi hanno tutto e molti non hanno niente.

Enrico Mauro – Docente di Diritto Amministrativo Unisalento



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