Tagliatori di teste? Il Salento li conosce bene

La decapitazione è stata sempre usata come strumento di affermazione della forza da parte di alcuni popoli. Non solo un supplizio mortale, ma anche una forma di espressione di potere politico religioso.

La Storia si ripete, per l’uomo è un’abitudine quella di usare la violenza nel modo peggiore, anche il nostro Salento ha conosciuto quella violenza.

Sono passati 500 anni ma i tagliatori di teste non sono passati di moda evidentemente, anzi sembra essere una prassi per certa parte di mondo quando scende in guerra. Come avvenne a Otranto nel 1480, così ancora oggi in Medio Oriente stando alle ultime crudeltà registrate.

La decapitazione non è soltanto una condanna a morte, ma una punizione esemplare, usata come strategia di terrore, ma anche una pubblica offesa, in spregio ai valori della fratellanza universale.
Nell’antica Roma, invece, era utilizzata come pena capitale estrema, ma anche come atto di clemenza. Era una condanna a morte, ma per i romani era una morte pietosa, a differenza della crocefissione.

Nella tradizione cristiana i malfattori o chi si era macchiato delle colpe peggiori veniva crocefisso, non decapitato. Fu diversa anche la sorte degli apostoli che fondarono il Cristianesimo. A Pietro toccò la crocefissione (si fece appendere a testa giù per degradarsi rispetto alla morte di Gesù di Nazaret), a Paolo fu concesso di essere decapitato, perché cittadino romano  e quindi non degno di una morte indegna.

 Lo stesso avvenne, sempre secondo la tradizione, al patrizio romano Oronzo, primo vescovo di Lecce e protettore della città, il suo martirio tutto sommato sarebbe stato uno sconto, proprio perché appartenente alla borghesia di Roma, prima della sua conversione che lo portò, in seguito, alla terribile condanna a morte.

Nel mondo islamico non è così, la decapitazione è la pena inferta agli infedeli. A Otranto i giovani che scelsero di non rinnegare Cristo e di essere fedeli, sì, ma alla religione cattolica, furono decollati. La spada delle milizie turche bevve il sangue di oltre ottocento otrantini indomiti, bersaglio non di una conquista ma di una guerra di religione.

Nelle pieghe della storia locale, tutto è intriso di quel sangue, i decapitati in gran numero sono i protettori della cittadina adriatica e di tutta l’arcidiocesi otrantina, a monito perenne di un coraggio e di una forza impareggiabili.

I tempi oscuri che si affacciano all’orizzonte, riportano alla memoria quegli eventi tragici e al tempo stesso gloriosi.



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