​Progetto consolidamento della scogliera del Ciolo: due imputati condannati con il rito abbreviato

Il 3 febbraio del 2015 la Procura aveva disposto il sequestro probatorio. Gli uomini del Nipaf avevano apposto i sigilli al cantiere di monitoraggio, pulizia della roccia e studio della falesia del Ciolo, avviato alle fine del 2014.

Si conclude con la condanna di due imputati il processo, con il rito abbreviato, sulle presunte irregolarità nel progetto di consolidamento della scogliera del "Ciolo". Il gup Carlo Cazzella ha inflitto la pena di quattro mesi di arresto nei confronti di Primo Stasi, 60 anni di Lecce, legale rappresentante della ditta Etacons e Fulvio Epifani, 67 anni originario di Ostuni, legale rappresentante del Siscom, società appaltatrice dei lavori. Rispondono dei reati di distruzione o deturpamento di bellezze naturali e abusivismo edilizio. I due imputati sono assistiti dall'avvocato Andrea Sambati.
  
Disposto anche un risarcimento del danno di 20mila euro nei confronti di Legambiente che si era costituita parte civile con l'avvocato Anna Grazia Maraschio. In precedenza, il procuratore aggiunto Elsa Valeria Mignone aveva chiesto sei mesi di arresto per entrambi.
  
Ricordiamo che il processo odierno rappresenta uno stralcio del filone principale. Sei imputati sono già finiti sotto processo. Si tratta di Daniele Accoto, 46enne di San Cassiano, responsabile del settore pianificazione di Gagliano del Capo, così come Daniele Polimeno, 61enne di Spongano; Emanuela Torsello, 54 anni di Alessano e Ippazio Fersini, 63enne di Gagliano del Capo, facenti parte di un'associazione temporanea di professionisti incaricata di redigere il piano dei servizi tecnici di progettazione e direzione dei lavori. Rispondono dei reati di distruzione o deturpamento di bellezze naturali e abusivismo edilizio.
  
Rinviati a giudizio, anche Vincenzo Moretti, 56 anni di Bari e Caterina Di Bitonto, 43enne di Barletta, funzionario e dirigente dell'ufficio programmazione della politiche energetiche Via/Vas  della Regione sono accusati di falso ideologico per il parere espresso sul progetto, ritenuto inattendibile dagli inquirenti.
  
Nell'udienza preliminare, il collegio difensivo aveva, invece, avanzato un'eccezione d'incompetenza territoriale. Difatti, sostenevano gli avvocati, il reato più grave, quello di falso contestato a due funzionari della Regione, sarebbe stato commesso a Bari. Il giudice Cazzella però ha rigettato tale questione preliminare.
  
Occorre ricordare che il 3 febbraio del 2015 la Procura aveva disposto il sequestro probatorio. Dunque, gli uomini del Nucleo Investigativo Provinciale di Polizia Ambientale e Forestale (Nipaf) avevano apposto i sigilli al cantiere di monitoraggio, pulizia della roccia e studio della falesia del Ciolo, avviato alle fine del 2014. Successivamente, il Tribunale del Riesame respinse l'istanza di dissequestro presentata dalla difesa.  
  
Non solo, poiché alcuni giorni dopo venne effettuata una prima accurata verifica dello "stato dei luoghi" e fu affidato l'incarico a due geologi per accertare se il progetto di consolidamento fosse compatibile con la conformazione della scogliera. La relazione depositata dagli specialisti Bianca Saudino e Giancarlo Bortolami evidenziò come gli interventi risulterebbero inutili e dannosi.
  
L’indagine della Procura, coordinata dall'attuale procuratore aggiunto Elsa Valeria Mignone e dal sostituto procuratore Antonio Negro, partì da un esposto di Legambiente, corredato da fotografie raffiguranti i grossi fori praticati nella roccia dagli operai, per l’applicazione delle reti previste nel progetto. Esso prevederebbe l'utilizzo di oltre duemila tondini di acciaio, circa  5 km di perforazioni e la demolizione di oltre 600 metri di scogliera. Per tale mastodontica opera era stata stanziata la somma di circa 1 milione di euro.



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