​Il tradimento della figlia, i colloqui in carcere e le intercettazioni: ecco cosa ha incastrato Marco Barba

Sarebbe stato Marco Barba, ex collaboratore di giustizia a uccidere Khalid Lagraidi, l’ambulante marocchino scomparso e trovato in un fusto per carburanti in contrada Madonna del Carmine, alla periferia di Gallipoli.

Non ce l’ha fatta Rosalba Barba a sopportare il peso del rimorso per quell’omicidio commesso dal padre per il mancato pagamento di una partita di fumo. E il padre lo aveva capito: considerava la figlia l’anello debole della catena familiare e per ‘conquistare’ il suo silenzio non aveva esitato a minacciare di coinvolgerla in un 'fantomatico' omicidio. «Dirò che sei stata tu…» le avrebbe detto l’ex collaboratore di giustizia in uno dei tanti colloqui in carcere a Bari – dove Tannatu si trova recluso con le accuse di tentata estorsione, porto e detenzione di armi comuni da sparo e stalking, per un episodio accaduto il 3 dicembre scorso –  che hanno assunto la forma di una vera e propria violenza psicologica. Non ce l’ha fatta, Rosalba e quando ha scoperto che sarebbe diventata presto mamma ha deciso rompere il legame con quel genitore dal passato ‘pesante’ e di raccontare tutto ai carabinieri della compagnia di Gallipoli, guidati dal capitano Francesco Battaglia.
 
 
Le parole di Rosalba  
«È stato mio padre a uccidere Khalid» ha raccontato la donna descrivendo agli uomini in divisa tutti i terribili dettagli di quell’esecuzione avvenuta quasi un anno fa, lo stesso giorno in cui l’ambulante di origini marocchine era scomparso nel nulla. Non solo, ha personalmente accompagnato i militari in quella pineta in contrada Madonna del Carmine che, per mesi, aveva custodito il corpo senza vita di Lagraidi. Senza lesinare particolari inquietanti e crudeli, Rosalba ha ricostruito gli ultimi istanti di vita dello straniero: da quando è caduto nella ‘trappola’ messa a punto per convincerlo ad andare con loro da Lecce a Gallipoli, a quando il padre – a cose fatte – l’ha costretta a nascondere il cadavere nel bidone per carburanti, di colore verde, diventato una bara improvvisata. Ha fatto male i conti, Barba. Pensava che cento bottiglie di acido muriatico versate sul corpo senza vita del giovane marocchino sarebbero bastate a farlo sparire per sempre, ma il terriccio e il cemento versato nel fusto per ‘chiudere’ tutto hanno in qualche modo ‘conservato’ e protetto la salma.
  
  
I colloqui in carcere di Barba con la moglie e la mamma
Non è stato solo il sangue del suo sangue a incastrate Tannatu, il «dannato» aveva descritto con minuzia di particolari il brutale assassino nelle conversazioni in carcere con la moglie e con la mamma in cui si è “tradito” rilevando particolari che nessuno poteva sapere, se non chi lo aveva commesso con le sue mani. Nelle intercettazioni, infatti, Barba non nomina mai la corda, ma racconta di aver ucciso Lagraidi con una pietra, come confermato successivamente anche dal medico legale che, esclusa l’ipotesi ‘strangolamento’, parlò di numerose ferite lacero-contuse al cranio provocate da un corpo contundente. Ha provato a convincere i familiari a ‘difenderlo’, ha tentato anche di far cambiare versione alla figlia prima dell’incidente probatorio suggerendole, anzi minacciandola di coinvolgere una terza persona nell’omicidio, il suo fidanzato, estraneo completamente alla vicenda. «Non avrei mai potuto uccidere un uomo da solo…» avrebbe detto quasi vantandosi di esserci riuscito. Si è stupito, infatti, della forza con cui l’ambulante marocchino ha provato ad evitare il suo tragico destino.
  
   
I tabulati telefonici
Anche i tabulati telefonici confermano la ricostruzione di Rosalba Barba: il padre, come accertato, aveva avuto dei contatti con la vittima, anche il giorno della sua scomparsa. Inoltre, le celle agganciate dai cellulari combaciano con le tappe di quel giorno: Gallipoli, Lecce e poi ancora la Città Bella, ultima ‘fermata’.
  
  
Il movente
Tutto questo, per una partita di droga non pagata che Khalid ha 'scontato' con la vita. Marco Barba ora dovrà rispondere di omicidio aggravato dalla premeditazione e dai motivi abietti e futili, nonché per distruzione e soppressione di cadavere.



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