Avvocatura salentina sotto shock: arrestati all’alba due noti legali. Uno è D’Agata

Truffa aggravata, falso in atto pubblico, patrocinio infedele e auto-riciclaggio: sono queste le accuse contestate a due noti avvocati salentini: Francesco D’Agata per cui si sono aperte le porte del carcere

Quando la notizia che due noti avvocati salentini erano stati arrestati dagli uomini del Nucleo di Polizia Giudiziaria della Guardia di Finanza di Lecce è iniziata a circolare tra i corridoi di viale De Pietro, tutti sono rimasti disordinati. Un’incredulità resa ancor più forte dalle accuse che sono state contestate a Francesco D’Agata, 39enne figlio del noto Giovanni presidente dello ‘Sportello dei Diritti’ e ad un altro legate. I due, infatti, a seconda dei “ruoli” che hanno avuto nella vicenda, dovranno rispondere di truffa aggravata, falso in atto pubblico, patrocinio infedele e auto-riciclaggio aggravato dall’attività svolta, che – come ha spiegato il Procuratore, Cataldo Motta nel corso della conferenza stampa – prevede una pena fino a 15 anni di reclusione.

Non è stato facile ricostruire il sistema architettato, di cui D’Agata sarebbe stato il deus ex machina, ma quando i tasselli del puzzle sono stati messi al giusto posto, il quadro è stato chiaro per gli uomini delle fiamme gialle coordinati dal colonnello Francesco Mazzotta.

Tutto sarebbe nato da un IBAN su cui una donna originaria di Torino (nota alle cronache per un caso di mobbing che ha fatto scalpore) che aveva fatto ricorso in Cassazione, in realtà mai depositato, aveva versato 4mila euro. Il conto corrente, infatti, era intestato ad una senegalese, vittima inconsapevole della maxi-truffa organizzata dai due avvocati. È stata questa la chiave di  volta. Accertamenti più approfonditi e la “mannaia” della tracciabilità dei flussi finanziari hanno fatto il resto.

La donna senegalese aveva subito un gravissimo incidente stradale in cui era rimasta sfigurata e si era rivolta a D’Agata per ottenere un risarcimento forte della sua notorietà in difesa dei diritti dei più deboli. E il risarcimento, in effetti, l’avvocato lo aveva ottenuto: più di 600mila euro dal Fondo Vittime della Strada.

Di tutti quei soldi, la signora ne ha visti soltanto “la metà della metà” come ha dichiarato Motta. Il legale, infatti, falsificando una sentenza del Tribunale di Trieste, competente a liquidare il risarcimento, aveva convinto la senegalese di aver ottenuto “appena” 300mila euro, di cui l’avvocato ne avrebbe trattenuti circa140mila, liquidando alla donna di fatto 160mila euro.

Gli altri – transitati su un conto intestato alla straniera –  D’Agata li avrebbe utilizzati sia per sfizi personali come l’abbonamento in uno stabilimento balneare, ma anche per pagare gli stipendi dei suoi collaboratori. Da qui l’accusa di autoriciclaggio.

È qui che entra in scena l’altro avvocato che – stando a quanto ricostruito dagli inquirenti – avrebbe avuto il ruolo di “cassiere”: materialmente prelevava il denaro dal conto corrente della povera straniera, anche utilizzando bancomat e carta di credito. Ad incastrarlo le immagini di alcune videocamere di videosorveglianza, nonostante il maldestro tentativo di camuffarsi durante i prelievi alzando il bavero della giacca. Per questo risponde di concorso nei reati contestati.

Per D’Agata si sono aperte le porte del carcere di Lecce. L’indagine è solo all’inizio. Il prossimo passo sarà quello di capire se si sia trattato di un caso isolato oppure un copione già utilizzato in altre occasioni.



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