Duro colpo al ‘Capo dei capi’ nel giorno del ricordo di Borsellino, sequestrato l’impero della famiglia Riina. Aziende anche in Salento

I carabinieri del Ros e quelli del Comando Provinciale di Palermo e Trapani hanno sequestrato al boss Salvatore Riina, rinchiuso al 41bis dal 1993, e ai suoi familiari beni del valore di 1,5 milioni di euro.

Era il 19 luglio 1992 quando un boato squarcia il cielo di via D’Amelio, a Palermo dove abita Maria Lepanto, la mamma di Paolo Borsellino. Il giudice era sceso dalla Croma, stava per suonare il campanello quando una vecchia Fiat 126, parcheggiata davanti al civico 21 e imbottita con il tritolo, esplode uccidendo il magistrato e cinque uomini della scorta. 25 anni dopo, nel giorno dell’anniversario della strage, la seconda dopo quella di Capaci in cui perse la vita l’amico e collega Giovanni Falcone, i carabinieri del Ros e quelli del Comando Provinciale di Palermo e Trapani hanno sequestrato il ‘tesoretto’ del Capo dei Capi, beni per un valore complessivo di 1 milione e mezzo di euro riconducibili al boss Totò Riina e alla sua famiglia.
  
Tre società, la villa di Mazara del Vallo in cui il capo mafia avrebbe trascorso parte della latitanza e 38 rapporti bancari. Sottoposta ad amministrazione giudiziaria per sei mesi anche l’azienda agricola del Santuario Maria Santissima del Rosario di Corleone, nella quale è stata accertata l’ingerenza di Riina e della sua famiglia nel controllo e nella gestione di un vasto appezzamento di terreno attraverso Vincenzo Di Marco, giardiniere e autista dei Riina, e suo figlio.
  
Nelle province di Lecce e Brindisi sono state, inoltre, localizzate aziende di compravendita di auto formalmente intestate al genero Antonino Ciavarello e costituite, secondo i carabinieri, con proventi illeciti. L’esame incrociato della contabilità avrebbe evidenziato una sperequazione di ben 480 mila euro, immessi per lo più in contanti ed in numerose tranche nei patrimoni sociali senza alcuna giustificazione legale.
  
L’inchiesta nasce dai redditi dichiarati negli anni, da cui è stato possibile ipotizzare l’utilizzo di mezzi e di risorse finanziarie illecite. La famiglia del capomafia, detenuto dal 1993, ha potuto contare su molto denaro, malgrado i numerosi sequestri di beni subiti nel tempo e a fronte dell’assenza di redditi ufficiali. La moglie del padrino, Ninetta Bagarella, è riuscita a emettere tra il 2007 e il 2013 assegni per oltre 42mila euro a favore dei congiunti detenuti. In carcere c’erano il figlio maggiore Giovanni, che sconta l’ergastolo, e il più piccolo, Giuseppe, ora tornato libero dopo una condanna per mafia.



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