Morte sul lavoro operaio di Copertino: i fratelli Leo finiscono sotto processo

I due noti imprenditori edili dovranno presentarsi nel febbraio 2018 innanzi al giudice monocratico per l’inizio del processo. Ha invece scelto di essere giudicato con il rito abbreviato il direttore dei lavori.

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Finiscono sotto processo i fratelli Leo, noti imprenditori edili, per la morte “bianca” di un operaio nel cantiere di un opificio industriale. Il gup Cinzia Vergine ha dunque rinviato a giudizio Massimo Leo, 51 enne, in qualità di legale rappresentante della Leo Costruzioni Spa e Elio Leo, 53 anni, nello stesso ruolo, ma della ASTRA srl. I due fratelli Leo, entrambi di Lequile rispondono delle accuse di omicidio colposo e inosservanza delle norme sulla sicurezza del lavoro. Dovranno presentarsi il 22 febbraio 2018, innanzi al giudice monocratico per l’inizio del processo. Sono entrambi assistiti dall’avvocato Luigi Covella.
Invece,l’altro imputato Antonio Rinaldi, 57 anni di Lecce, direttore dei lavori e coordinatore della sicurezza, sia per la fase di progettazione che per quella di esecuzione, ha scelto di essere giudicato con il rito abbreviato.Il pm, al termine della requisitoria ha invocato la pena di 1 anno e 4 mesi, sempre per l’ipotesi di reato di omicidio colposo. La discussione prosseguirà il 18 dicembre e in quella data, il giudice emmtterà la sentenza. L’imputato è difeso dagli avvocati Francesco Vergine e Pietro Quinto.
I familiari della vittima non si sono costituiti parte civile.

Le indagini

Secondo il sostituto procuratore Paola Guglielmi, gli imputati sarebbero responsabili della morte dell’operaio di Copertino, Maurizio Barbarossa, deceduto il 3 giugno del 2014. Egli stava lavorando nel cantiere dell’opificio della Demar (appaltato dalla Leo e subappaltato dall’ASTRA), nella zona industriale di Lecce. Barbarossa era impiegato nella realizzazione di travi a sbalzo, come appoggio per la successiva messa in opera del solaio e si trovava sull’ultimo ponteggio, quello collocato più in alto sull’impalcatura. Udendo degli scricchiolii, provenienti dall’armatura di sostegno, assieme a due colleghi, decise di scendere e di recarsi nella parte interna del fabbricato, ma tentando di salire sull’impalcato della cassaforma (un contenitore, che sarebbe stato collegato all’impalcatura in maniera inadeguata e non in grado, dunque, di reggere le operazioni di getto del calcestruzzo) sarebbe stato investito dal crollo dell’impalcatura. Il corpo oramai privo di vita di Barbarossa fu ritrovato ai piedi del muro perimetrale interno e affianco ad esso, l’impalcatura del fabbricato terminata al suolo. Barbarossa avrebbe riportato un “violento trauma compressivo del torace e dell’addome”, diverse fratture costali e varie lesioni mortali degli organi vitali.

Le indagini, disposte dal sostituto procuratore Paola Guglielmi, si basarono, anzitutto, sugli accertamenti eseguiti dagli Ispettori dello Spesal e su di una consulenza tecnica dell’ingegnere Antonio Vernaleone al fine di chiarire l’esatta dinamica dell’incidente. Quest’ultimo rilevò presunte responsabilità degli indagati, affermando “tanto il datore di lavoro quanto il direttore dei lavori, prima di avviare i lavori, dovevano assicurarsi che un tecnico abilitato avesse eseguito una corretta analisi della struttura da realizzare ed avesse impartito precise disposizioni sia sulle caratteristiche della struttura sia sugli accorgimenti organizzativi”.



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