Omicidio ambulante marocchino: chiesto l’ergastolo per Marco Barba

Il legale della figlia Rosalba, invece, ha formalizzato la richiesta di patteggiamento ad 1 anno e 6 mesi. La prossima udienza è fissata per il 23 marzo, quando il gup, al termine del processo con rito abbreviato, dovrebbe emettere la sentenza.

La Procura ha chiesto l’ergastolo per Marco Barba. In mattinata, nell’Aula Bunker di Borgo Nicola, si è svolta la requisitoria del pubblico ministero Alessio Coccioli. Il processo si sta celebrando con il rito abbreviato “secco”.

Nella scorsa udienza, la difesa aveva chiesto “riti alternativi” nel processo sull’omicidio di Khalid Lagraidi, avvenuto il 23 giugno scorso. Il gup Carlo Cazzella, questa mattina, ha rigettato l’istanza dell’avvocato Fabrizio Mauro, legale di Marco Barba, che ha chiesto il rito abbreviato “condizionato” ad una perizia psichiatrica sull’incapacità di intendere e di volere.

Il giudice ha fissato per il 23 marzo prossimo la sentenza. Inoltre, dovrà decidere se accogliere la richiesta di patteggiamento ad 1 anno e 6 mesi per Rosalba Barba, assistita dal legale Amilcare Tana. La pena è stata già “concordata” con il pubblico ministero Alessio Coccioli.

I familiari dell’ambulante marocchino, intanto, si sono costituiti parte civile. Sono assistiti, tra gli altri, dall’avvocato Luigi Pedone.

L’incidente probatorio

Ricordiamo che nel settembre scorso, Marco Barba, 43enne di Gallipoli detto U’ Tannatu ha chiesto e ottenuto di essere interrogato dopo la chiusura delle indagini preliminari. L’ex pentito è accusato di aver ammazzato a sangue freddo Khalid Lagraidi, l’ambulante marocchino ritrovato in un contenitore metallico, in contrada ‘Madonna del Carmine’, alla periferia di Gallipoli.

L’accusa mossa a Marco Barba è di omicidio volontario, aggravato dai motivi abietti e futili e dalla premeditazione ed occultamento di cadavere. “U Tannatu” ha voluto parlare, ma non ha cambiato di una virgola la sua versione, già esposta nel corso dell’incidente probatorio.

Ha ucciso l’uomo per gelosia e in preda ad un attacco di ira dopo averlo sorpreso in atteggiamenti ‘intimi’ con la figlia Rosalba, la stessa che ha consentito di far ritrovare il corpo senza vita dello straniero, nonostante i tentativi di farlo sparire per sempre con oltre cento bottiglie di acido muriatico, versate sul corpo senza vita.

Avviso di conclusione indagini

Nell’avviso di conclusione delle indagini, emesso dal pubblico ministero Alessio Coccioli, compare anche il nome della figlia Rosalba Barba, 23enne gallipolina, che risponde dell’accusa di occultamento di cadavere in concorso con il padre.

«È stato mio padre a uccidere Khalid» ha raccontato Rosalba Barba, a fine gennaio, ai carabinieri della compagnia di Gallipoli guidati dal capitano Francesco Battaglia. La figlia, quando ha scoperto che sarebbe diventata presto mamma, ha deciso di raccontare tutto. Non solo, ha personalmente accompagnato i militari in quella pineta che, per mesi, aveva custodito il corpo senza vita dell’ambulante 41enne.

La donna ha ricostruito gli ultimi istanti di vita dello straniero: da quando è caduto nella ‘trappola’ messa a punto per convincerlo ad andare con loro da Lecce a Gallipoli, a quando il padre – a cose fatte – l’ha costretta a nascondere il cadavere nel bidone per carburanti, di colore verde, diventato una bara improvvisata. Ha fatto male i conti, Marco Barba. Pensava che cento bottiglie di acido muriatico versate sul corpo senza vita del giovane marocchino sarebbero bastate a farlo sparire per sempre, ma il terriccio e il cemento versato nel fusto per ‘chiudere’ tutto hanno in qualche modo ‘conservato’ e protetto la salma.

Non è stata soltanto la figlia ad incastrare Tannatu, il «dannato» aveva descritto con minuzia di particolari il brutale assassino nelle conversazioni in carcere con la moglie e con la mamma in cui si è “tradito” rilevando particolari che nessuno poteva sapere, se non chi lo aveva commesso con le sue mani. Ha provato a convincere i familiari a ‘difenderlo’, ha tentato anche di far cambiare versione a Rosalba prima dell’incidente probatorio suggerendole, anzi minacciandola di coinvolgere una terza persona nell’omicidio, il suo fidanzato, estraneo completamente alla vicenda.



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