Omicidio Carmine Greco: Giuseppe Barba rettifica alcune dichiarazioni ma rischia di diventare co-imputato

Oggi è ripreso l’esame il teste ha rettificato le precedenti dichiarazioni. Giuseppe Barba aveva il ruolo di ‘custode’ delle armi del clan, ma non sarebbe stato a conoscenza che una pistola da lui tenuta ‘conservata’, servisse a uccidere Carmine Greco.

Nella mattinata di oggi, è continuato l'ascolto di Giuseppe Barba nel processo sull'omicidio di Carmine Greco, consumatosi ben 25 anni fa a Gallipoli.
 
Questi è stato ascoltato già nell'udienza scorsa come teste "puro" dal pm; a seguito di alcune sue scottanti rivelazioni, rischia di diventare co-imputato e le dichiarazioni potranno essere utilizzate nei suoi confronti. Il teste pur avendo la facoltà di non rispondere, ha preferito dare una risposta alle domande del pubblico ministero per chiarire la vicenda. Per questo motivo si è ritenuta necessaria oggi la presenza del suo legale,  l'avvocato Paola Scialpi.
 
Giuseppe Barba, affiliato al clan Padovano, aveva il ruolo di "custode" delle armi del clan. L’uomo avrebbe dichiarato nella scorsa udienza di essere a conoscenza che una pistola da lui tenuta in custodia, all'epoca dei fatti, serviva a uccidere Carmine Greco. Cosicché il Presidente  Sansonetti della Corte di Assise di Lecce (a latere Fabrizio Malagnino e giudici popolari) ha interrotto l'udienza "avvisando" il testimone del rischio di diventare co-imputato. Ha dunque rinviato il processo, affinché potesse Barba essere assistito da un avvocato.
 
Oggi è ripreso l'esame e Barba ha rettificato le sue precedenti dichiarazioni, cercando di dimostrare come alcune sue frasi fossero state fraintese. Il pm gli ha domandato: "Le avevano detto a cosa serviva la pistola o le armi le ha fornite semplicemente nelle vesti di custode delle armi? Giuseppe Barba ha risposto: "Moralmente mi sento responsabile, ma solo moralmente e la scorsa volta ho fatto confusione."
 
L'avvocato Valentini nel contro esame, ha fatto riferimento a sue dichiarazioni raccolte in un verbale, in riferimento al giorno dell'omicidio di Greco, quando Barba disse : "Io andai e mi misi a letto, proprio perché doveva esserci l'omicidio e dovevo creare un alibi. Sapevo da Salvatore Padovano che doveva essere ucciso Carmine Greco, prima che giungesse a Gallipoli, il killer Mendolia". L'avvocato Scialpi, intervenuta nel contro esame, però ha ritenuto che la formula utilizzata da Barba fosse dubitativa. Dopodiché, l'avvocato Valentini ha posto alcune domande al teste per ricostruire la "vicenda di sangue". Barba ha riferito come Marcello Padovano gli avesse chiesto la pistola che lui custodiva, ma non sapeva a cosa servisse e che apprese del delitto di Greco in televisione e la prima persona a riferirgli dell'omicidio, sarebbe stato Mendolia. Ha confermato, poi, che suo fratello avrebbe dato un passaggio a Mendolia e Greco. Inoltre ha smentito alcune dichiarazioni rese nel precedente processo, da suo fratello.
 
La scorsa volta, invece, Il pm Elsa Valeria Mignone ha anzitutto domandato a Giuseppe Barba se sapeva, perché Carmine Greco fosse stato ucciso. L’uomo ha risposto che "era un cane sciolto e dava fastidio". Un giorno fu visto Carmine Greco comunicare con dei tipi di Milano, una "sfida" ai Padovano. L'ordine partì da Salvatore e Rosario Padovano. Invece, materialmente, l'omicidio fu commesso da Mendolia (su ordine di Marcello Padovano) e Nicola Greco. Quest'ultimo avrebbe chiuso la strada con la macchina alla vittima e poi avrebbe sparato il terzo colpo. 
  
Nicola Greco, detto “Nico”, di 43 anni, secondo l'accusa rappresentata dal pubblico ministero Elsa Valeria Mignone, sarebbe lautore materiale dell'omicidio di Carmine Greco, mentre il 54enne gallipolino, Marcello Padovano, detto “Briocha" il mandante . Quest'ultimo è difeso dagli avvocati Gabriele e Giovanni Valentini. La convivente della vittima, all'epoca dell'agguato mortale, si è costituita parte civile difesa dall'avvocato Silvio Giardiniero e la figlia difesa dall'avvocato  Guidi.



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