Pizzini con la contabilità, bombe, armi e fiumi di droga. Smantellata Orione, ‘costellazione’ di clan criminali

L’operazione denominata “Orione” è stata condotta dai Carabinieri della Compagnia di Maglie. I provvedimenti cautelari emessi dal Gip su richiesta della Dda di Lecce

Prende il nome dalle tre stelle, allineate sulla stessa retta, al centro della costellazione di Orione l’imponente operazione che ha permesso di smantellare tre organizzazioni criminali che, stringendosi la mano in nome del business, erano riuscite a creare un giro di affari a sei zeri. Una cifra dedotta dai pizzini ritrovati che hanno permesso agli uomini in divisa di ricostruire la contabilità soprattutto del clan guidato da Antonio Amato: biglietti su cui erano annotate cifre e nomi, alcuni in codice. È bastato un semplice calcolo per capire che il gruppo, in un solo mese (settembre 2015), era riuscito a piazzare droga per 300 mila euro. Nonostante una stima precisa sia impossibile, si pensa che sfiori il milione di euro.

Le foto compromettenti

Sembra strano, ma l’indagine è nata da alcuni scatti trovati, quasi per caso, sul cellulare di Giuseppe Angelino, 25enne di Giurdignano, sequestrato dopo un controllo alla circolazione stradale finito con l’arresto per violenza e resistenza a Pubblico Ufficiale. Era stato fermato, insieme al complice Christian Stomeo, dopo aver cercato di sfuggire ai militari. Fuga finita poco dopo.

Sul telefono il ragazzo aveva salvato alcune foto scattate mentre impugna con spavalderia una pistola o si mostra orgoglioso dietro un tavolo pieno di banconote da 100 euro. Tante, troppe per non destare sospetti.

Il resto è cronaca di oggi con 37 provvedimenti cautelari (20 in carcere e 17 agli arresti domiciliari), 62 persone indagate senza contare la droga e gli esplosivi sequestrati durante le perquisizioni che confermerebbero la facilità con cui le associazioni ricorrevano alle armi per riscuotere debiti o regolare questioni territoriali tra gruppi diversi. Lo dimostra un episodio in particolare.

La finta esecuzione

Tutto nasce quando l’auto di uno spacciatore resta danneggiata nell’incendio di un’altra vettura, casualmente parcheggiata accanto. Pensando fosse un messaggio rivolto a lui, ha deciso di farsi giustizia da solo e presentare il contro ad un uomo di Giurdignano, erroneamente considerato l’autore. Tant’è che lo ha ‘prelevato’ dalla sua abitazione, lo ha condotto in un luogo appartato dei Laghi Alimini e, con modalità tipicamente mafiose, lo ha costretto a inginocchiarsi. “Confessa prima di morire” gli avrebbe detto puntandogli una pistola alla tempia simulando un’esecuzione. Non lo ha fatto e, forse per questo, è stato “graziato”.

Il core business

Il cuore dell’attività era, ovviamente, il traffico di sostanze stupefacenti, ma enorme peso avevano anche le estorsioni e i furti soprattutto con il cavallo di ritorno.  Qualcuno, nel gruppo, era anche specializzato nei “danneggiamenti su commissione”. Praticamente si facevano pagare 1.000/2000 euro per incendiare alcuni esercizi commerciali per conto di qualcun altro, magari concorrente o che voleva dirimere dissidi personali. «Era una costellazione di associazioni che si erano spartite il territorio riuscendo a muovere ingenti quantitativi di stupefacenti» ha dichiarato il capitano Giorgio Antonielli comandante della Compagnia di Maglie nel corso della conferenza stampa voluta per illustrare i dettagli.

L’identikit dei criminali

Il clan di Scorrano era diretto dall’uccel di bosco Vincenzo Amato, conosciuto da tutti come “pisciuleddhru”. Era lui il deux ex machina vista l’esperienza maturata negli approvvigionamenti di droga fuori dai confini locali. Era balzato agli onori della cronaca per essere riuscito a far entrare in Italia la droga colombiana, utilizzando corrieri disposti ad ingerire ovuli. Per questo, era stato condannato a 19 anni e sei di carcere.

La “sua” associazione era in grado di procurarsi stupefacente da fornitori internazionali basati in Spagna, Marocco e Albania, ma anche Bitonto, Secondigliano e Roma. Lo dimostrerebbero sia i numerosi viaggi all’estero del suo braccio destro Cosimo Miggiano, sia gli incontri con gli esponenti delle altre organizzazioni criminali leccesi o con trafficanti di stupefacenti albanesi ‘documentati’ da lontano dagli uomini in divisa.  In un caso Marco Maggio, Antonio e Paolo Guadadiello e Cosimo Miggiano sono stati immortalati mentre discutono di una fornitura di sostanza stupefacente. L’ultimo, addirittura, sembra mimare il gesto di impugnare un fucile.

Un incontro per discutere di una fornitura di sostanza stupefacente

Al clan dei fratelli Guadadiello con base tra Torchiarolo e Squinzano è contestato il 416 bis del Codice Penale, l’associazione di tipo mafioso. Fondamentale, nell’organizzazione di tipo verticistico, è stato il ruolo di tre donne che avevano il compito di portare fuori dal carcere le disposizioni dei capi. Si tratta di Anna Cristina Guadadiello, Adele Visconti e Alba Conte che durante la detenzione del marito Paolo Guadadiello ha svolto il ruolo di vero e proprio contabile dell’associazione, distribuendone i proventi agli appartenenti e decidendo le nuove forme di “investimento”. A questa associazione va anche il primato delle armi da fuoco e fucili da guerra utilizzate per mettere a segno un numero imprecisato di estorsioni nei confronti degli acquirenti, ma anche degli stessi appartenenti.

A muovere i fili dell’organizzazione di Martano, il primo ad essere “scoperto”, era Paolo Serra.  Non erano degli sprovveduti e lo dimostrano le “accortezze” usate per non essere smascherati. Cautele come l’uso di un linguaggio criptico o di moderne tecnologie con cui “bonificavano” – come si dice in gergo – l’ambiente per rilevare la presenza di cimici o altre apparecchiature utilizzate per le intercettazioni ambientali in auto e nelle abitazioni. Non solo, cambiavano spesso le macchine usate per gli spostamenti e si informavano sui posti di blocco delle forze dell’ordine per evitare i controlli.

Incontro tenuto appositamente lontano dalle auto per scongiurare il rischio di essere intercettati.

Rilevante anche il ruolo svolto dalla donna del gruppo, che procedeva al taglio della sostanza e aveva spesso il compito di accompagnare i maschi in modo da non destare troppi sospetti. Nell’attività di spaccio sono coinvolti anche i figli piccoli, usati per nascondere la sostanza stupefacente.  

Le accuse

Pesanti le accuse: associazione di tipo mafioso; associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti; detenzione abusiva di armi e di materie esplodenti; estorsione; porto abusivo di armi; sequestro di persona e violenza privata.

Tutti i nomi degli arrestati tra carcere e domiciliari

Il ruolo dell’ex portiere del Lecce



In questo articolo: