Processo Network: la Procura invoca 24 anni di carcere per il presunto boss Salvatore Rizzo

In una precedente udienza sono stati ascoltati i collaboratori di giustizia Giuseppe Manna e Alessandro Verardi. Invece, nei mesi scorsi, si è concluso il maxi processo d’Appello “Network”, relativo alla maggior parte degli imputati che hanno scelto il rito abbreviato.

La Procura invoca oltre 30 anni di carcere per i sei imputati del processo Network che hanno scelto il rito ordinario. Il procuratore aggiunto Guglielmo Cataldi, al termine della propria requisitoria, ha chiesto 24 anni di reclusione per il principale imputato Salvatore Rizzo che rispondeva di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

E ancora: 6 anni per Carmelo De Pascalis, 54 anni di Cavallino; 3 anni e 6 mesi nei confronti di Giuseppe Perfetto, 55 anni di Sanarica; 1 anno e 6 mesi per Mario Greco, 53enne di Lecce; 1 anno nei confronti di Anna Longo, 56enne di San Cataldo e Raffaele Panarelli, 64enne di Vernole. Rispondevano di reati minori tra cui quello di “favoreggiamento personale“.

In una precedente udienza sono stati ascoltati i collaboratori di giustizia Giuseppe Manna e Alessandro Verardi che hanno parlato dei loro rapporti con il presunto boss Rizzo. Hanno riferito, in particolare, di aver in passato “programmato”, nel corso di alcuni colloqui in carcere, la creazione di un’associazione dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti.

Gli imputati sono assistiti dagli avvocati: Paolo Cantelmo, Ester Nemola, Stefano De Francesco, Luigi Rella.

Nei mesi scorsi, invece, si è concluso il maxi processo di Appello “Network”, relativo alla maggior parte degli imputati che hanno scelto il rito abbreviato. Sono arrivate ben sei assoluzioni e vari sconti di pena, (come per il collaboratore di giustizia Gioele Greco). Soprattutto è caduta l’accusa di associazione mafiosa per molti imputati, tra cui gli elementi di spicco del clan De Matteis.

L’inchiesta

I Carabinieri del Ros e della Squadra Mobile di Lecce permisero di smantellare nel febbraio di 3 anni fa, un’associazione dedita ad attività estorsive nei confronti di stabilimenti balneari ricadenti nella fascia adriatica. Furono emesse dal gip 43 ordinanze di custodia cautelare su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce.

L’Operazione “Network” scaturiva da due distinte attività d’indagine riunite in un unico procedimento, vale a dire “Terre d’Acaya”, e “Alta Marea”. Le intercettazioni telefoniche consentirono di acquisire elementi di prova, in ordine all’attività della predetta organizzazione mafiosa e della parallela associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Particolare significato probatorio hanno assunto poi l’acquisizione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Giuseppe Manna e Alessandro Verardi. Grazie anche a questo prezioso contributo è stato ricostruito l’organigramma dei clan operanti nel territorio di Lecce e dei paesi limitrofi: il primo capeggiato da Roberto Nisi nel capoluogo salentino; quello di Pasquale Briganti, anch’esso operante in prevalenza nella città di Lecce; infine il gruppo mafioso facente capo alla famiglia di Bruno De Matteis attivo su Merine e paesi vicini.

Il gruppo facente capo a Andrea Leo e a Alessandro Verardi avrebbe avuto il “controllo” degli stabilimenti balneari insistenti sul litorale tra Torre Specchia e San Foca, con imposizione ai gestori degli stessi del pagamento del 25% sui ricavi e la gestione dei parcheggi delle zone circostanti, nonché con imposizione dei servizi di vigilanza ai lidi della marina di Vernole.



In questo articolo: