Colpo di pistola nel centro di Nardò e tentata estorsione: condanne ‘ridimensionate’ per i sei imputati

L’episodio principale dell’inchiesta, è l’agguato del 16 maggio del 2016 ai danni di Gianni Calignano, raggiunto da un colpo d’arma da fuoco. Il 28enne si sarebbe intromesso in dinamiche estorsive che non lo includevano, nel ruolo di “protettore”.

Si conclude con la condanna a oltre 37 anni di carcere il processo sul tentato omicidio nel pieno centro di Nardò, del maggio di due anni fa.

Nella tarda mattinata di oggi, i giudici della prima sezione penale (Presidente Gabriele Perna), hanno inflitto: 17 anni e 3 mesi a Francesco Russo, 65 anni di Nardò (il pm ha invocato 24 anni); 6 anni ad Angelo Caci, 48 anni detto “Zio Angelo”, originario di Gela, ma residente a Novara (30 anni), assolto dal reato di tentato omicidio; 4 anni nei confronti di Giampiero Russo, 28 anni di Nardò (chiesti 13 anni), Giuseppe Calignano, 28enne di Nardò (10 anni); Rocco Falsaperla, 45enne di Gallarate (10 anni), il quale ha ottenuto anche gli arresti domiciliari.
Per tutti loro, è “caduta” al termine del processo, l’aggravante delle modalità mafiose.
Infine, condanna a 2 anni e 2 mesi per Evilys Pimentel Roque, 45enne di origini cubane, ma residente a Villa Convento (4 anni), che aveva comunque una posizione marginale nell’inchiesta.

Una sentenza che, in attesa delle motivazioni, ridimensionerebbe il quadro accusatorio.

Nella scorsa udienza, il pubblico ministero Stefania Mininni ha tenuto un’articolata requistoria nel corso della quale ha sottolineato il clima di omertà con cui si è dovuta confrontare durante le indagini. Al termine della stessa ha invocato la condanna a 91 anni di carcere.

In una precedente udienza, è stato ascoltato come teste del pubblico ministero, la vittima. La dr.ssa Mininni ha chiesto anzitutto a Gianni Calignano se conoscesse gli autori dell’agguato a colpi di pistola. Il 28enne di Nardò, incalzato dalle domande del pm, ha dichiarato di non sapere chi gli avesse sparato. Inoltre, ha affermato di non ritenere responsabili dell’attentato, gli odierni imputati. Non solo, Calignano ha negato aver visto gli autori del tentato omicidio poiché, secondo lui, sarebbe stato sparato da dietro e non frontalmente. Dunque, non avrebbe avuto modo di vedere in faccia l’attentatore.

L’episodio principale dell’inchiesta, è proprio l’agguato del 16 maggio del 2016 ai danni di Gianni Calignano, raggiunto da un colpo d’arma da fuoco in pieno centro a Nardò. Il 28enne si sarebbe intromesso in dinamiche estorsive che non lo includevano, nel ruolo di “protettore”.

Le accuse

Francesco Russo e Angelo Caci, rispondono delle ipotesi di reato di “tentato omicidio in concorso aggravato dalle modalità mafiose” e di “detenzione abusiva di arma da fuoco”. Invece tutti gli imputati (ad esclusione della 44enne cubana) devono difendersi dall’accusa di “tentata estorsione continuata in concorso e aggravata dalle modalità mafiose”. La sola Evilys Pimentel Roque risponde di favoreggiamento personale per aver aiutato i due Russo e Caci a sfuggire alla cattura dopo l’attentato a Calignano.

Fondamentali ai fini delle indagini, condotte dai carabinieri del nucleo investigativo di Lecce assieme ai colleghi di Nardò e Gallipoli, le dichiarazioni della vittima della tentata estorsione.

Gli imputati sono assistiti dagli avvocati Alberto Paperi, Luigi Corvaglia, Francesca Conte, Giuseppe Corleto, Tommaso Valente, David Dell’Atti, Stefano Pati, Francesco Risi e Davide Vitali.



In questo articolo: