L’Accademia di Belle Arti di Lecce conferisce la Laurea Honoris Causa a Emilio Isgrò

L’incontro, tenutosi sabato 5 maggio, è stato promosso dal critico d’arte e giornalista Carmelo Cipriani in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Lecce e la Delegazione di Lecce del FAI, insieme all’Associazione Culturale “De la da mar. Centro Studi sulle Arti Pugliesi” di Lecce.

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“L’arte deve correre qualche rischio intellettuale”.

È stato un incontro denso, brillante, provocatorio e incisivo. Emilio Isgrò non ha deluso chi ne segue da anni le ricerche, sempre orientate alla dialettica eleganza della cancellazione. Ancorate alla multiforme attività di creativo, le sue progressive specificità non sono facilmente racchiudibili in definizioni: sarebbe riduttivo ricordare la sua versatilità legandola a singoli percorsi espressivi.

Basta il Titolo “Autocurriculum” del suo ultimo testo, Palermo, Sellerio Editore, 2017 per rendere intellegibile la personalità di questo artista fuori dal comune. L’occasione è stata il conferimento della laurea Honoris Causa, presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce.

L’incontro, tenutosi sabato 5 maggio, è stato promosso dal critico d’arte e giornalista Carmelo Cipriani in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Lecce e la Delegazione di Lecce del FAI – Fondo Ambiente Italiano unitamente all’Associazione Culturale “De la da mar. Centro Studi sulle Arti Pugliesi” di Lecce. La sala convegni era gremita e si sono susseguiti gli interventi del Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Lecce, Prof. Fernando De Filippi, del Direttore, Prof. Andrea Rollo, e del Capo Delegazione del Fai di Lecce, Prof.ssa Adriana Bozzi Colonna. La lettura della motivazione del conferimento del prestigioso riconoscimento è stata redatta e letta dal Prof. Angelo Maria Monaco, storico dell’arte e docente dell’Accademia.

Già il titolo Autocurriculum cancella il genere tradizionale dell’autobiografia per articolarsi in una nuova proposta, in un rinnovato orientamento e, per dirla con le parole di Isgrò, “cercare un lavoro a tempo indeterminato”. Il suo racconto è denso di citazioni, sembra di attraversare la storia degli ultimi cinquanta anni, in un intreccio articolato tra attività e incontri, ricerca e suggestioni: Montale, i Guggenheim, Quasimodo, Kennedy, Calvino, Berio, Eco, Cage e Sciascia, e poi i colleghi artisti De Chirico, Fontana, Manzoni, Baj, Pomodoro. E poi c’è la Sicilia, dove lui è nato quasi 80 anni fa, la terra che ha plasmato le sue incursioni creative, improntate ad un’aurea sezione classica. Il suo è un flusso narrativo mai nostalgico o autocompiaciuto, ha un narcisismo gentile non affettato quando racconta, digredisce sulle relazioni importanti, sulle mostre nei luoghi più prestigiosi.E le sue narrazioni, travalicavano la stesura del libro per coinvolgere il pubblico in riflessioni dense e mai scontate sulla sostanza stessa dell’arte, sul suo significato ontologico, sulla necessità intrinseca di porre domande, di creare inquietudine, non sempre fornire risposte dirette, ma innescare una provocazione semantica, sociale e politica che non si accontenti e non risponda esclusivamente alle logiche, pur sacrosante del mercato, ma condizioni essa stessa il mercato. Tra le multiformi ricerche, la sua poetica è legata alla cancellatura, non vista come atto nichilistico di annullamento, piuttosto valorizzazione del pensiero. Tutto inizia dal Logos, dal pensiero che si sostanzia in parola, talvolta rifugiata nei quadri, come nella poesia visiva, talaltra criptata come nell’arte concettuale. Distante da queste categorie, ma forse partecipante ad entrambe, Isgrò ha fatto un’operazione rivoluzionaria nell’espressione artistica “La cancellatura è come lo zero in matematica, chiamato a formare, da solo, tutti i numeri e tutti i valori”.«Sospettavo da tempo», scrive, «che tutti gli aggiustamenti operati sulla parola dalle neoavanguardie letterarie non riscattassero la parola poetica (che è poi la parola umana per eccellenza) dal rischio di naufragare per sempre nel mare della comunicazione visiva». Tutt’al più ci si imbatteva in «puri esercizi di manutenzione della parola novecentesca». Invece bisognava rovesciare il tavolo: cancellare la parola «non significava distruggerla, ma salvaguardarla per tempi migliori; per quando cioè la capacità di riflettere si sarebbe finalmente saldata alla necessità di creare».

Ciò che davvero colpisce di Emilio Isgrò è lo stupore e la leggerezza intellettuale e partecipata di una grande fiducia positiva. Un’iniezione di concreta fattività, di un’arte onesta che non irride il fruitore, ma lo trasferisce senza polemica alcuna, nella dimensione stessa del poeta.

Lo aspettiamo nuovamente a Lecce.



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