Lequile, le due parrocchie giocano il derby di AC. Bollini:«Questo è sport con la ‘S’ maiuscola»

Ieri sera, durante il derby delle due parrocchie di Lequile durante il torneo denominato AC CUP – organizzato dall’Azione Cattolica di Lecce – è intervenuto anche il tecnico del Lecce, Alberto Bollini:«Questo è sport con la ‘S’ maiuscola».

Da sempre, nel panorama sportivo – specie se calcistico – i derby assumono colori totalmente diversi rispetto agli altri match. Un dettaglio che vale tanto per gare agonistiche, quanto dilettantistiche o di qualsivoglia categoria. Esistono, però, anche incontri dove non conta la vittoria. A vincere, semmai, deve essere lo spirito partecipativo delle persone, dei tifosi, dei giovani. Valori significativi, questi, messi in primo piano – ieri e in occasioni analoghe – dall’Azione Cattolica di Lecce, presieduta da Salvatore Scolozzi. Come ogni anno, la Diocesi salentina organizza un torneo di calcetto che permette alle rispettive parrocchie di fronteggiarsi col pallone tra i piedi. Eppure, le peculiarità dell’AC CUP (nome della competizione) non derivano dalla bravura tecnica.

Il vero talento che emerge, in realtà, risulta quello dell’accoglienza. Insomma, arrivare primi in classifica non serve. Trionfa la squadra più unita. Degli appositi osservatori ne valutano inni, striscioni, magliette. Tutto assume un significato preciso, legato all’aspetto religioso che al contempo si fa strada attraverso lo sport sano, pulito. Che piace. E non finisce qui. A palla ferma, la gara prosegue negli spogliatoi grazie al cosiddetto “terzo tempo”. Entrambe le avversarie sgranocchiano qualcosa assieme in segno di fratellanza e conoscenza. Segno distintivo e caratteristico della grande “famiglia” dell’AC, associazione ormai fortemente radicata nel territorio, nonché collaboratrice di numerose iniziative (non ultima quella al Forum delle famiglie tenutosi nei giorni scorsi a livello locale e regionale).

Ieri, sul terreno di gioco, c’erano le due comunità parrocchiali di Lequile: Maria SS Assunta e Spirito Santo (quest’ultimi, alla fine, vincitori 4-2). Un derby (come anticipato in apertura d’articolo), oltre che momento festivo e gioioso, dai risvolti emozionanti. Non solo. Durante la pausa tra i tempi, a concedere due parole di saluto c’era l’attuale tecnico dell’U.S. Lecce, Alberto Bollini. «Mi hanno chiamato per portare una testimonianza, ma in realtà io stesso, grazie a stasera – dice l’allenatore giallorosso a Leccenews24.it – me ne porterò una a casa altrettanto forte. Concreta e, soprattutto, all’interno di un’atmosfera bellissima. Nello sport c’è chi si diverte a vincere, ma bisogna anche accettare la sconfitta. Esalta il senso della partecipazione con affetto, sacrificio e sudore. Il pubblico sa tifare in maniera coreografica ed entusiasmante a favore della propria squadra, portando rispetto per l’avversario; dettaglio che, nel calcio, purtroppo subentra poche volte. Un clima bellissimo, di festa e sport con la “S” maiuscola, in un ambiente di grande divertimento. La parola che serve oggi a questo sport».

Il mister saluta i tifosi. Scambia due chiacchiere e qualche battuta coi giocatori. Partono i selfie. E, tra abbracci e foto, descrive la sua esperienza al Sud:«La mia esperienza nel Salento è fortemente sportiva – prosegue – fin dai primi giorni ho avuto modo di notare non solo il sostegno, ma anche la passione con cui lo staff tecnico opera. Dalla gente del Salento sono stato ben accolto, messo a mio agio. Sono cresciuto dal punto di vista sportivo e lavorativo. Persone passionali e competenti, tanto negli spogliatoi quanto negli uffici; un dettaglio che mi ha colpito assolutamente in positivo. Poi, al di là del risultato, sottolineo la cordialità. Vero che c’è molta delusione a livello calcistico, perché Lecce in passato militava in categorie superiori alle Lega Pro, e si fa fatica ad accettarlo. Col sottoscritto però c’è stato molto rispetto. I salentini hanno accettato le mie parole e la mia praticità nel campo. Un piacere».

«Sarebbe troppo facile dire che quella col Foggia è la partita più vissuta emotivamenteconclude – ma perché era un derby, un “dentro-fuori”. Da quando sono arrivato ogni partita la dovevamo vincere per tenerci attaccati alla cordata della classifica. E inoltre perché quando vinci a dieci secondi dalla fine, dopo tanti gol sprecati, sopraggiunge un’esplosione di gioia e rabbia agonistica. Tutti i giocatori lo meritavano». 



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