Caso Chiricò, quanto pesa il valore del rispetto?

Si chiude una faccenda ai limiti dell’assurdo: ora testa al campo, testa all’Ascoli, testa a questo campionato che può darci delle belle e inattese soddisfazioni.

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Questa società, e solo questa società, merita il massimo del rispetto, dell’onore e dell’ammirazione. Questo lo diciamo subito, perché poi nessuno dovrà fraintenderci. Proseguiamo.

Il caso-Chiricò, alla fine, si è risolto: il fantasista brindisino finisce fuori lista, in barba ai proclami, alle scuse, alle prestazioni e a tutto il resto. Troppe, evidentemente, le frizioni creatisi attorno a questo grande gruppo per “colpa” di un elemento di buon livello, ma che di certo non sposta gli equilibri in una stagione. Lo può fare per una partita (come successo contro la Salernitana, in effetti), ma non crediamo – visto il suo curriculum – che lo potesse fare a lungo e per sempre.

Si chiude così uno dei capitoli più tristi e isterici dell’era moderna giallorossa, anteponendo la “serenità dell’ambiente” a tutto il resto. Badate bene: non ha vinto la Nord, non ha vinto la società, non ha vinto certamente Meluso, non ha vinto (anche se avrebbe voluto) nemmeno Liverani. Ha vinto il Lecce, ha vinto il buonsenso, ha vinto la voglia di mettere una pietra sopra (oggi sì!) su una questione giunta ai margini del paradossale.

Troppe le parole vomitate a destra e a manca in questi dieci giorni: tutti hanno detto la loro, dallo spazzino al bar, ai soloni della TV. Tutti, noi compresi. Chiricò ci ha provato fino all’ultimo a riabilitarsi davanti ai tifosi giallorossi, anche sui social. A tratti ci è riuscito. Solo una parte è rimasta in silenzio: la socità.

Un silenzio d’oro perché una SpA non deve troppe spiegazioni: non ci si deve giustificare per ogni cosa. Troppe malignità insinuate in queste settimane, troppe voci create ad hoc per destabilizzare un ambiente sano, come da anni non si vedeva nella Lecce calcistica.

Ma quanto peserà questa vittoria del Lecce? Questo lo vedremo. Di certo la questione non è stata gestita al meglio, fin dal principio. L’ingaggio di Chiricò non è stato mai giustificato a dovere, qualcuno ha persino cercato di prendersi tutte le colpe. Ma ricordiamoci che ogni minima operazione, anche quella per la fornitura di carta igienica per la sede societaria, viene fatta a nome dell’US Lecce S.p.A., e non a nome di Mauro Meluso, Alessandro Adamo o Saverio Sticchi Damiani.

C’è stato un difetto di comunicazione, di informazione, di ponderazione. Questo ce lo sentiamo di dire, perché ancora oggi non ci spieghiamo il senso dell’ingaggio di un buon giocatore (ma non un fuoriclasse) che si sapeva avrebbe creato scompigli. Almeno tra la tifoseria. Nessuno è stato in grado di spiegare a dovere perché è stato acquistato (troppo semplici e banali le motivazioni rese nella conferenza di presentazione), così come nessuno ora ha saputo spiegare il perché della sua esclusione (stesso discorso di cui sopra, con un “volantino” distribuito in sala stampa).

Per qualcuno la società si è fatta piccola piccola davanti a una contestazione di una parte minoritaria del tifo. Non siamo qui a stabilire se chi sostiene tale idea ha ragione, ma le mosse della società – in questa vicenda, e solo in queste – non sono mai state illuminate e illuminanti. Di certo la società ha mostrato maturità e rispetto. No, non nei confronti del tifo organizzato (che riceve il dovuto rispetto solo con i risultati in campo), ma nei confronti di quella maglia di cui tanti si riempiono la bocca.

La stessa maturità l’hanno dimostrata i tifosi della Nord? Beh, ci sentiamo di dire sì: del resto non hanno mai minacciato nessuno, non hanno mai fatto del male a nessuno (da 6 anni a questa parte, ma il dopo-Carpi è bello superato) e non hanno insultato la famiglia di nessuno. A Martignano ad agosto, così come contro la Salernitana, hanno esposto la loro idea, hanno cantato (liberamente) e altrettanto liberamente hanno deciso di restare in silenzio (sorvolo sulla mancata esultanza al gol che ancora fatico a digerire). Ma non ha vinto nemmeno la Curva Nord, lo ribadisco. Ok sulla maturità dei Ragazzi della Nord, e il rispetto? Così come per la squadra, anche per i tifosi il rispetto si misura sul campo: il tifoso riceve rispetto dalla sua società quando le cose funzionano al meglio (al di là del risultato sportivo), la società riceve rispetto quando in campo e sugli spalti le cose vanno altrettanto bene.

Ci aspettiamo, allora, ad esempio, lo stop a queste annose, assurde e patetiche multe da petardi e fumogeni che possono anche creare folklore (manco fossimo alla sagra del paese), ma che – ricordo – sono vietati per motivi di sicurezza. Non nella vita, non in campagna, ma in uno stadio di calcio durante una partita ufficiale. È bene che qualcuno se lo ricordi.

Direi che si è parlato fin troppo di questa assurda vicenda sportiva: sarebbe cosa buona e giusta rammentarci ogni giorno che siamo in Serie B, dopo sei anni di Lega Pro, dopo una doppia retrocessione scellerata, dopo macchine e stadi di fango. Siamo tornati nel nostro habitat, e lo dobbiamo a questa società che merita il massimo del rispetto, dell’onore e dell’ammirazione.

Testa al campo, testa all’Ascoli, testa a questo campionato che può darci delle belle e inattese soddisfazioni. Indossiamo tutti quella maglia che è solo giallorossa, senza nomi e senza numeri. È per questo che si tifa, per niente e per nessun altro.



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