L’attentato a Palmiro Togliatti e l’ombra della guerra civile ‘impedita’ da Gino Bartali

#accaddeoggi. Il 14 luglio del 1948 Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano, venne colpito da tre colpi di pistola all’uscita da Montecitorio

14 luglio 1948. L’orologio aveva da poco segnato le 11.45, quando Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano, si accasciò a terra a pochi passi da Montecitorio, vittima di un attentato. Qualcuno aveva sparato quattro colpi di pistola. A premere il grilletto era stato Antonio Pallante, studente di giurisprudenza fuoricorso di 24 anni.

Accompagnato d’urgenza al Policlinico di Roma, il «Migliore» fu sottoposto a una delicata operazione chirurgica. Le speranze sembravano ridotte al lumicino. Le agenzie parlavano di “prognosi riservata”. Una annunciava addirittura la morte. Il segretario era stato colpito alla testa e aveva perso molto sangue, ma superò l’intervento e si riprese mentre l’Italia era segnata da scioperi e cortei di protesta organizzati come risposta all’attentato.

Sembrava stesse per scoppiare una guerra civile , “scongiurata” secondo una leggenda popolare da Gino Bartali. Il “vecchio” aveva catturato l’attenzione e le emozioni degli italiani, “calmando” la folla. Tempo qualche ora e la paura di una rivoluzione comunista rientra nel cassetto. La storia ha raccontato la verità: la rivolta era sedata ben prima che il fuoriclasse toscano a 34 anni suonati si aggiudicasse il Tour de France.

Certo è che, quando l’estate rovente del ’48 fu archiviata, si portò dietro una guerra civile che fortunatamente non c’era stata e un bilancio pesante: 30 morti e 800 feriti.

«Hanno sparato a Togliatti». L’attentato

Il Partito Comunista, guidato da Togliatti, aveva appena incassato una sconfitta alle prime elezioni politiche della storia della Repubblica che sancirono la vittoria della Democrazia Cristiana. Quella mattina del 14 luglio, il Segretario stava uscendo da Montecitorio in compagnia di Nilde Iotti, giovane iscritta del PCI con la quale aveva intrecciato una relazione nel 1946, quando fu colpito da tre dei quattro colpi di pistola sparati a distanza ravvicinata.

L’autore dell’attentato non restò senza nome. A premere il grilletto era stato Antonio Pallante, studente fuori corso di Giurisprudenza (per anni aveva finto di dare esami e ingannato il padre che per mantenerlo agli studi aveva venduto un terreno di famiglia per duecentomila lire) anticomunista e simpatizzante del qualunquismo. Aveva raggiunto Roma in treno partendo da Randazzo, in Sicilia, dove viveva con la famiglia. Nella ‘valigia’ aveva messo la pistola acquistata al mercato nero di Catania, cinque pallottole pagate 35 lire l’una e un intento ben preciso: uccidere Togliatti, il male dell’Italia.

Il giorno prima, il 13 luglio, aveva tentato di farsi ricevere dal segretario del PCI nella sede del partito, in via delle Botteghe Oscure. Non essendoci riuscito, era andato a Montecitorio per assistere a una seduta parlamentare, grazie a due permessi speciali ottenuti da un deputato democristiano e da uno comunista. Voleva vedere dal vivo Togliatti, per assicurarsi di riconoscerlo prima di sparargli in via della Missione, dove si trovava l’uscita secondaria di Montecitorio, che il Migliore era solito utilizzare.

Alle 11.45 il fuoco. Quattro colpi, di cui tre andarono a segno, sparati da una vecchia pistola calibro 38 ancora in buono stato, a differenza di quanto detto da molti storici che ne parlarono come di un ferrovecchio. Uno colpì il capo del PCI alla nuca, ma non gli sfondò la calotta cranica perché i proiettili non erano di buona qualità.

Il caos

Non appena la notizia dell’attentato cominciò a circolare ci furono le prime manifestazioni spontanee e moltissime persone si radunarono fuori dall’ospedale. A Bologna, come a Milano, Torino, Genova e negli altri centri operai, ha l’effetto del cerino nella polveriera. La CGIL indisse uno sciopero generale, che peraltro fu all’origine della scissione con la CISL (il 22 luglio 1948), con cui i sindacalisti cattolici si staccarono da quelli comunisti.

Le manifestazioni furono organizzate in tutto il paese per chiedere le dimissioni del governo. Molte erano armate. Erano passati solo tre anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e tantissime persone possedevano ancora le armi che erano state usate durante il conflitto e nella lotta partigiana. Malgrado la consegna dopo il 25 aprile, ne erano rimaste in giro parecchie. Ci furono scontri con la polizia, morti, feriti e migliaia di arresti. Si sfiora il caos.

Non appena si riprese dall’operazione chirurgica, Togliatti invitò i dirigenti del Partito Comunista e i suoi sostenitori a interrompere le manifestazioni per evitare che la tensione aumentasse. Ordinò a tutti di “stare calmi” e di “non fare pazzie”.

Il racconto della storia dell’attentato e delle tensioni che lo seguirono si è legato alla vittoria di Gino Bartali. Il 15 luglio, il ciclista vinse un’importante tappa del Tour de France e il 25 conquistò il Tour. Fu un’impresa sportiva eccezionale visto che Bartali, all’epoca, aveva 34 anni. Qualcuno sostenne che l’entusiasmo per questo risultato contribuì a distrarre i manifestanti dai loro intenti di protesta e rivolta.

Che fine ha fatto Pallante

Subito dopo aver sparato contro Togliatti, Pallante che rischiò di cambiare per sempre la storia d’Italia fu fermato dai carabinieri e un anno dopo fu processato per tentato omicidio volontario. Condannato a 10 anni e 8 mesi, scontò solo cinque anni e tre mesi di carcere, grazie a riduzioni della pena e a un’amnistia nel 1953. “Non sono un killer a pagamento”, aveva dichiarato quando cominciò a farsi strada l’idea che l’attentato fosse stato suggerito da qualcuno.

Negli anni furono fatte diverse ipotesi su possibili legami tra Pallante e diversi gruppi politici: dalla Democrazia Cristiana agli indipendentisti siciliani fino ai comunisti sovietici. Era soltanto un fanatico con le idee confuse che considerava i comunisti come il maggior pericolo per l’Italia.



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