Il coronavirus da “Schermo a Schermo”, gli studenti del Palmieri intervistano Silvano Fracella  


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Il Liceo Classico Palmieri ha il vantaggio di avere una dirigente scolastica (Loredana Di Cuonzo) che vanta nella sua esperienza professionale importanti trascorsi in radio e in televisione e che ben conosce il valore della comunicazione. Gli studenti, accuratamente guidati dalla prof.ssa Mariana Cocciolo, responsabile del progetto hanno prodotto l’intervista che riportiamo.

“Incontriamo il dottor Silvano Fracella, primario del Pronto Soccorso del Vito Fazzi di Lecce da schermo a schermo: nell’unico modo reso possibile dalla stretta osservanza del decreto del Presidente del Consiglio dell’11 marzo 2020, che, nell’ottica della politica del contenimento dell’epidemia in corso, si riassume con l’hashtag: #IORESTOACASA

Sorride dietro allo shermo, il dottor Fracella, nel rivolgersi a noi, che lo abbiamo invitato nel nostro gruppo su Skype per una videointervista: il gruppo si chiama pomposamente Servizio pubblico Palmieri e la prof.ssa Mariana Cocciolo, con la quale nella nostra classe per il quinto anno consecutivo attiviamo l’esercizio reciproco della pazienza, l’ha fortemente voluto perché noi si sia testimoni. Certo avremmo voluto poter testimoniare altri tempi, in verità: ma mala tempora currunt  e così…”

È Alessandra Greco ad iniziare: Quella che stiamo combattendo contro il Covid19 è una guerra: mentre la popolazione resiste attenendosi all’osservanza dei decreti, voi, ricercatori, medici e infermieri, nei laboratori e negli ospedali, formate l’esercito in camice bianco che lotta contro un invisibile nemico. Dal mondo della politica e della stampa, ma anche dalla gente comune  vi giungono tributi e riconoscenza. Come ci si sente ad essere il primario del reparto di Pronto Soccorso dell’Ospedale Vito Fazzi di Lecce, città non più immune dal contagio?

Silvano Fracella: Stiamo facendo il nostro dovere. Lo dico sempre, anche in famiglia. Quando si sceglie una professione come questa la mission deve rimanere fissa, al di là delle circostanze. Nel nostro lavoro si alternano periodi più o meno impegnativi; quest’epidemia oggi ci richiede maggiore impegno, maggiori responsabilità, maggiori sacrifici. Il nostro lavoro ci impone di aiutare chiunque sia affetto da malattia, che, lo sappiamo bene, può essere anche infettiva, trasmissibile. Questo per noi è pane quotidiano. Nel corso di un’epidemia le la possibilità di venire a contatto con la malattia infettiva è sicuramente più probabile. Ma questo è il nostro lavoro, e dico nostro perché stiamo facendo un grande lavoro di squadra. È come se stessimo su una nave e dovessimo attraversare una tempesta. Il posto più sicuro per una nave è sempre il porto. Ma le navi sono progettate e costruite per affrontare le tempeste. Su questa nave dobbiamo esserci tutti, ognuno col proprio ruolo; e tutti siamo importanti, dal capitano all’ultimo mozzo. Sulla nave, però ci sono anche i cittadini e ogni cittadino rappresenta una piccola vela. Ci chiamate eroi e ci dedicate lunghi applausi alle finestre e ai balconi nei flash mob nazionali, ma anche voi siete degli eroi, quando rispettate, attraverso le disposizioni ministeriali, gli altri; anche voi siete degli eroi, quando volete informarvi, quando fate il vostro dovere di cittadini, quando con i vostri sacrifici aiutate chi, a capofitto, è dentro a questa situazione difficile; anche voi siete degli eroi,  voi che esprimete nel quotidiano questo grande senso di responsabilità. Tutto questo è bellissimo.

È Alessandra Salvatore a continuare: Veniamo al vostro lavoro in prima linea: quando venite contattati per un caso di sospetto contagio, quali protocolli seguite?

Silvano Fracella: Abbiamo iniziato ad organizzarci sin dall’inizio dell’emergenza, dal mese di febbraio, quando il Ministero ha emanato le prime procedure. I primi protocolli indicavano che ogni paziente che avesse presentato sintomatologia caratteristica di questa infezione, che è prevalentemente una sintomatologia respiratoria (febbre, tosse difficoltà a respirare, per riferirsi al criterio clinico) avrebbe dovuto essere indagato nella sua provenienza, con riferimento al secondo criterio, quello epidemiologico. Al paziente venivano, quindi, poste domande sulla sua provenienza e sui suoi soggiorni in Cina o, successivamente all’importazione del virus, nella cosiddetta “zona rossa” dell’Italia, negli ultimi 14 giorni. In assenza di risposte affermative, ovvero in assenza di un criterio epidemiologico, il paziente non veniva considerato un caso sospetto. Poi l’epidemia ha preso piede e allora il protocollo è cambiato: non ha avuto più senso applicare il criterio epidemiologico, indagare sulla provenienza. Ci siamo organizzati diversamente, allora, in ordine alle disposizioni ministeriali che servono a tutelare sia gli operatori che i pazienti: abbiamo attivato il pretriage, il cui fine è quello di individuare i casi sospetti. Il pretriage è uno sportello esterno al Pronto Soccorso, che fa da filtro, prima di far entrare il paziente nella struttura, per evitare eventuali contatti. Nel pretriage si procede a porre al paziente alcune domande (presenta febbre, ha mal di gola, ha tosse?); in caso di risposta affermativa si prendono delle precauzioni: si introduce il paziente in un percorso di isolamento con una stanza dedicata, in uno spazio logisticamente isolato e lo si avvia immediatamente agli accertamenti. In concomitanza con l’aggravarsi dell’emergenza, ora stiamo per attivare un reparto di osservazione per COVID, adibendo un intero piano che abbiamo individuato e poi trasformato per i ricoveri dei pazienti che, nel pretriage, siano stati individuati come casi sospetti. Così il paziente viene preso in carico da un medico, da un infermiere e da un OS con tutti i dispositivi di protezione individuale. Solo gli operatori che hanno un contatto stretto con il paziente devono indossare il kit (mascherina, occhiali, tuta, calzari, guanti). Queste le procedure finora attivate. Nei prossimi giorni, inoltre, su disposizione del Presidente della Regione, la DEA (Dipartimento Emergenza Urgenza), struttura di cui è dotato il nostro Ospedale, sarà dedicata all’osservazione dei casi COVID. Questa struttura è separata dal corpo dell’ospedale e questo ridurrà le possibilità di contagio.

Alessandra Greco: Quando scatta l’opzione o l’obbligo del tampone faringeo su un paziente di cui si sospetta il contagio?

Silvano Fracella: Siamo subissati di richieste da parte di persone che vorrebbero fare il tampone faringeo.   Il COVID è un virus “nuovo”, con cui l’organismo umano non ha ancora avuto a che fare. Facciamo un esempio: in caso di guerra, quando un nemico preme sui confini di un Paese straniero le difese scattano immediatamente: i soldati si stanziano lungo i confini di questo territorio, per impedire al nemico di invadere. Se però i soldati stanziati sul confine sono meno attenti o si addormentano, il nemico penetra nel territorio. Il nemico è il coronavirus, che entra nell’organismo per via aerea, attraverso il respiro, non attraverso il sangue, come l’epatite C o l’HIV, non attraverso il contatto con la pelle, come si crede comunemente. È fondamentale conoscere la via di trasmissione di questo virus. Il virus è “un organismo” (usiamo questo termine) endocellulare: per potersi replicare deve entrare nelle cellule e sfruttarne “gli alimenti”. Questa è la fase dell’incubazione, che è asintomatica e può durare fino a 14 giorni, che corrispondono alla cosiddetta “quarantena” e costituiscono il tempo massimo di manifestazione dei sintomi; tuttavia, mediamente i sintomi si manifestano dopo una settimana.  Veniamo al tampone nasofaringeo che è come un lungo cotton fioc, atto a raccogliere piccole quantità di secrezioni dalle mucose delle prime vie aeree, naso e faringe. È là che il virus si annida all’inizio, prima di passare alla trachea, ai bronchi, per poi arrivare ai polmoni, nei casi più gravi, quelli in cui si manifesta la polmonite interstiziale con conseguente compromissione importante della respirazione. È stato dimostrato, tuttavia,  che il tampone potrebbe dare un esito negativo anche in pazienti  asintomatici che siano in fase di incubazione. Quindi, fare il tampone ai pazienti asintomatici non è una norma di prevenzione. Il tampone si fa ai pazienti sintomatici, che possono trasmettere il virus ad altre persone attraverso le vie aeree. Il paziente sintomatico manifesta almeno tre sintomi: febbre, tosse, sternuti. Attraverso i colpi di tosse e gli sternuti si può trasmettere il virus, ma se tra due persone si interpone la distanza di un metro o un metro e mezzo, è difficile che il virus possa essere trasmesso attraverso le goccioline di saliva. Il corpo umano, inoltre, presenta un meccanismo di difesa: il sistema immunitario. Se “ai confini” del nostro organismo si presenta un ospite non gradito, intervengono i globuli bianchi, un esercito numeroso, diviso in sottogruppi; ogni globulo bianco, ne abbiamo di tipologie diverse, ha compiti ben precisi: nella prima linea difensiva ci sono i linfociti T, “i fanti” che aggrediscono il nemico con una lotta “corpo a corpo”, armati di “baionette”; in seconda linea ci sono “gli strateghi”, gli “ingegneri”, che “studiano” il nemico, lo “fotografano” ne definiscono la forma e la tipologia e cominciano ad attivare “fabbriche” che producono “armi”, ovvero anticorpi specifici: se il virus ha una forma sferica, come nel caso del COVID19, si predisporranno degli anticorpi a C che andranno ad agganciare la sfera. La produzione di queste armi richiede tempo. Per questo ci si può  ammalare,  e cioè si può incubare e contrarre la malattia.  Poi, in funzione del sistema immunitario, è possibile guarire dopo 8-10 giorni; oppure dopo 10-15 giorni; oppure, se il sistema immunitario non è efficiente, si può sviluppare un decorso clinico peggiorativo, fino alla polmonite importante (12% – 15% dei casi). I pazienti affetti da polmonite importante necessitano di intubazione, di respiratori e di ventilatori automatici che pompano aria a pressione positiva per aiutare i polmoni ad espandersi e di ricoveri in terapia intensiva per tutto il tempo necessario al sistema immunitario per debellare il virus. Il decesso si verifica nel 3,5% dei casi. Al momento non esiste una cura specifica; si sta studiando per mettere a punto un vaccino, ma ad oggi ciò che ci fa guarire è l’efficienza del sistema immunitario. Quando il paziente debella la malattia e guarisce, resta immune.

Alessandra Salvatore: Dottor Fracella, in base a quali parametri si decide per il ricovero o per le dimissioni di un paziente risultato positivo al tampone?

Silvano Fracella: La positività al tampone da COVID19 non è elemento determinante del ricovero e dell’ospedalizzazione del paziente. Il paziente positivo va isolato, perché infettivo. Devono essere ricoverati, invece, i pazienti con sintomi respiratori importanti (dispnea, difficoltà respiratorie, affanno), a rischio di polmonite importante. Se il paziente positivo presenta solo sintomi leggeri non necessita di ospedalizzazione; necessita invece di essere seguito a domicilio, in quarantena, dal medico curante o dal SISP (Servizio Igiene Sanitaria Pubblica), che monitorano la situazione anche a distanza per accertare temperatura corporea e situazione respiratoria, attraverso saturimetria. Esistono in commercio i saturimetri portatili e di facile utilizzo, che consistono in piccole mollette, che si infilano nel dito e, attraverso i capillari, misurano la saturazione di ossigeno nel corpo. Se i parametri sono normali, il paziente non è in pericolo, anche se ha febbre, e può essere seguito a domicilio.

Non ha smesso di sorriderci, il dottor Silvano Fracella, da schermo a schermo, per tutta la durata dell’intervista, non ha smesso di erogare una corretta informazione, quella che vi abbiamo comunicato, nello spirito del servizio pubblico. Le emozioni, quelle che caratterizzano gli incontri umani importanti e significativi, se pur da schermo a schermo, quelle le terremo per noi. Come per noi abbiamo tenuto l’ultima domanda, quella che non abbiamo sottoposto…

Dottor Fracella, ha mai avuto paura di essere contagiato da COVID19?

Ci avrebbe risposto senza smettere di sorriderci. Da schermo a schermo.