‘La mucca e il professore’, viaggio tra virtù (poche) e difetti (molti) della scuola pubblica italiana

Prosegue la rubrica ‘School River’, il tour ‘esperienziale’ del Prof. Alessandro Macchia alla ricerca di virtù (poche) e difetti (tanti) del sistema di istruzione italiano. Nella seconda puntata l’affresco del professore.

Prosegue la rubrica ‘School River‘, il viaggio semiserio in 10 tappe del professor Alessandro Macchia* nella scuola pubblica italiana. Un tour ‘esperienziale’ alla ricerca di virtù (poche) e difetti (tanti) del nostro sistema di istruzione. Una navigazione a pochi passi dalla costa, sotto la luce del faro che a intermittenza proietta ragione e sentimento, per raccontare con saggia ironia la bellezza decadente di un mondo che resta incredibilmente affascinante e la cui involuzione fa male al cuore di chi gli vuole bene. Troppo bene.

Dopo l’affresco sulla figura del dirigente, arriva la seconda puntata.

La mucca e il professore

Alcuni anni fa stimolai i miei alunni a elaborare, sul modello dantesco, un loro immaginario aldilà in cui collocare figure storiche o di stringente attualità. Mi rimane ancora impressa la risposta di una ragazzina allorché le domandai chi avrebbe condannato al girone degli invidiosi. Con acerba severità mi rispose: «I professori!»

Le chiesi la ragione. E con piglio improvvisamente divertito espose: «Perché la professoressa di musica ha detto che il vestito della professoressa di arte è proprio brutto. Invece è molto bello ed elegante. Quindi la professoressa di musica è solo invidiosa!» A guardar bene, la scolaretta con un elementare sillogismo aveva centrato nel segno: uno dei vizi più diffusi fra corridoi e aule scolastiche è proprio l’invidia. Ma chi ammetterà di esserne schiavo? François de La Rochefoucauld sosteneva che l’invidia è una passione così vergognosa che non osiamo mai riconoscerla. Si dirà che ogni contesto lavorativo è infestato da quella che Dante considerava una delle tre faville che accendono i cuori. Ma la scuola è il luogo per eccellenza dell’educazione, della crescita, dell’esempio umano. Ed è quindi tanto più detestabile che degli adulti sguazzino nel malvezzo. Con ciò, sembra che per davvero essa si annidi di preferenza qui.

Non è facile capire le motivazioni di questo fatto, ancor più perché l’invidia è rivolta verso i più disparati oggetti. C’è la professoressa valente che si sente messa in secondo piano dall’arrivo di un docente altrettanto capace; c’è il professore che invidia la professoressa nelle grazie del dirigente; c’è quello che invidia quell’altro sol perché ha ricevuto una lucrosa funzione strumentale. E poi ci sono quelle che invidiano i vestiti delle professoresse di arte. Con ciò, la condizione più singolare di vittima dell’invidia l’abbiamo registrata alcuni anni fa a spese di un autorevole studioso di pittura che nell’ambito delle scuole brianzole insegnava Storia dell’Arte. Diceva, con un sorriso di rassegnata consapevolezza delle debolezze umane, che si trattava di una sorta di maledizione. Nei licei dove volta per volta si trovava a insegnare, i colleghi di disciplina lo trattavano con disprezzo e sufficienza, pur essendo al corrente dei suoi grandi meriti e delle sue numerose pubblicazioni scientifiche. Nel frattempo, le altre scuole facevano a gara per invitarlo come formatore o per le sue appassionate conferenze. È la secolare questione che nessuno è profeta nella propria patria, ma da tutto questo ricaviamo uno dei tratti più caratteristici dell’invidia: essa nasce sempre nella più circoscritta cerchia lavorativa. Sarà improbabile che il docente dell’altra scuola, quello che non ti è collega, provi invidia per te. Il motivo più a portata di mano per comprendere questo stato di cose potrebbe essere ricondotto a un contesto, quello appunto della scuola, privo di progressività sociale e di avanzamento di carriera.

Il docente, chiuso in una missione senza sbocchi, è spinto a rivaleggiare con il suo più immediato prossimo. Non è naturalmente una ragione perdonabile. Anche di fronte a questo stato di cose ci si chiede dove sia quella purezza di cuore indispensabile per dirsi insegnante. Si tratta di una professione che richiede qualità morali superiori ancor prima che conoscenze. Invece la vita scolastica si riduce di frequente alla volontà di sopraffare l’altro attraverso il dispetto, la calunnia, le opere di male.

L’invidioso denota anche discutibili qualità intellettive, non avvedendosi che, a differenza di tutte le altre passioni, l’invidia non gli farà comunque guadagnare quel di cui è privo.

Lo scrittore statunitense Joseph Epstein esplicitava questa condizione attraverso una curiosa quanto amara allegoria. Un superbo, un lussurioso e un invidioso si trovano davanti al classico genio della lampada. Ognuno di loro è libero di esprimere un desiderio. Il superbo dice che un suo amico è proprietario di una meravigliosa villa fra le colline inglesi. Pure lui ne vorrebbe una. Tuttavia la brama con un bagno in più e un ruscello che scorre nei pressi della finestra. Il lussurioso rivela che un suo amico ha una stupenda amante dalle bionde chiome. Anche lui ne vorrebbe una, ma più prosperosa e con le gambe più lunghe. L’invidioso invece racconta di un vicino di casa che ha una mucca che produce una quantità incredibile di latte, dalla quale ricava tanta ottima panna e tanto buon burro. E chiede al genio: «Io desidero che quella mucca muoia.» Or bene, fosse stato un insegnante, avrebbe presumibilmente detto: «Io voglio che quel collega sia trasferito.» Ci riserviamo di credere che almeno non desideri che passi a miglior vita.

*Le considerazioni sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.



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