È normale di fronte alla diagnosi di un cancro o qualsiasi altra malattia grave la priorità per una giovane donna sia quella di curarsi. Nell’urgenza di affrontare questa ‘battaglia’ con tutte le paure, i dubbi e le preoccupazioni che una simile situazione comporta, può capitare che l’argomento «fertilità» passi in secondo piano, insomma non sia una priorità. Inutile negare che uno degli effetti collaterali della chemioterapia è quello della perdita della funzione ovarica e questo significa che una donna potrebbe perdere il diritto di diventare madre. Per questo motivo, molti sforzi sono stati fatti per preservare la fertilità e quindi la possibilità diventare genitori. La crioconservazione dei tessuti ovarici per cinque, dieci anni al massimo, è una delle strade che si possono percorrere. E presto si potrà fare al centro PMA (procreazione medicalmente assistita) di Nardò.
Come fa sapere l’associazione Salute Salento, il dottor Antonio Luperto è fiducioso che la Asl farà arrivare quanto prima le attrezzature necessarie. I locali dove verrà effettuata la crioconservazione sono stati completati, compresi gli impianti elettrici. Adesso si attendono dei particolari congelatori a lento congelamento, un ecografo di livello, un microscopio e altro.
«Noi, in questo momento – chiarisce Luperto – più che pensare all’eterologa come fanno in altri centri, stiamo pensando ai nostri ragazzi e ragazze che in età fertile incappano in un cancro al seno, in una leucemia, in un linfoma non hodgkin, per cui devono iniziare la chemio o la radio terapia. Processi che bruciano il corredo riproduttivo mandando le donne in menopausa». Basta frequentare i day sarvice di oncologia per rendersi conto che sono tante, soprattutto ragazze. E se non bastasse lo confermano i numeri. Ogni anno in Italia si ammalano di cancro 366mila persone, di queste, 169mila sono donne. Dato che circa il 3% delle neoplasie femminili si verifica tra i 18 e i 39 anni, sono 5mila le donne che ogni anno devono confrontarsi con questa malattia in età riproduttiva.
«Una volta guariti – continua il ginecologo – alla ragazza che è già sposata e che non vuole avere altri figli quel pezzettino di ovaio glielo reimpiantiamo e così evita di andare in menopausa. Chi vuole figli invece, con il seme del loro marito-compagno provochiamo la fertilizzazione in laboratorio, creiamo l’embrione e lo impiantiamo direttamente. A questo punto però parliamo di un loro figlio».
Nonostante siano stati fatti passi da gigante, l’informazione resta ancora una pecca da colmare. Oggi – , come si legge nella nota a firma di Cesare Mazzotta – per legge le strutture sanitarie hanno l’obbligo di informare i ragazzi che c’è un centro pubblico dove possono conservare il liquido seminale o un pezzettino (1 millimetro quadrato) di corteccia delle ovaie che contiene centinaia di follicoli, prima di iniziare la chemio o la radioterapia.
Fino ad oggi le ragazze venivano avviate al centro di Torino, dal prof. Giancarlo Revelli. «Ma erano poche quelle che accettavano di recarsi a Torino, pochi giorni prima di iniziare la chemioterapia. Non erano nello spirito giusto – spiega il dottore Luperto – Quando avremo avviato la crioconservazione a Lecce, noi da Nardò ci rechiamo al Fazzi e qui il dottore Antonio Perrone pratica la biopsia per il prelievo. Sarà tutto più facile».