È passato più di un anno da quando venne resa nota l'esistenza di un'inchiesta, ad opera della Procura della Repubblica di Lecce, che intende far luce su dei presunti veleni situati nei terreni e nelle acque dell’ex Saspi, l’inceneritore che per decenni ha bruciato i rifiuti di Lecce. Tutto ha avuto inizio dopo l’esposto del proprietario di un terreno vicino.
Una zona vasta almeno due ettari che, a detta di molti, potrebbe costituire una "bomba ecologica" alle porte del capoluogo salentino. La vicenda in questione viene segnalata attraverso una nota stampa da Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, secondo il quale è giunta l'ora di “fugare ogni dubbio” e dunque “far venire a galla la verità ed eventuali responsabilità, perché la sola idea una potenziale 'bomba ecologica' alle porte della città, della possibile 'Capitale della Cultura Europea 2019' non è assolutamente tollerabile”.
“Sulla stampa si è addirittura parlato di bonifiche mai effettuate e di una collinetta alta alcuni metri che conterrebbe circa 100.000 tonnellate di materiali pericolosi – scrive D'Agata – comprese ceneri di cui si ignora la composizione e la provenienza”.
“Quell'avvallamento – prosegue – visibile da chiunque percorra la tangenziale Est nei pressi dello svincolo per Lizzanello, che quindi potrebbe costituire un serio "pericolo" per la salute dei cittadini, sarebbe ricoperto da uno strato di argilla completamente tombata che celerebbe al suo interno i residui e le scorie di anni di attività di incenerimento di non meglio precisati rifiuti".