
Andare al lavoro per guadagnarsi da vivere e non fare più ritorno a casa. È la triste storia di tanti, troppi lavoratori che sono ricordati oggi, nella 73esima edizione della
Giornata Nazionale per le vittime degli incidenti sul Lavoro che si svolge tutti gli anni nella seconda domenica di ottobre.
Le vittime sono soprattutto lavoratori impiegati nel settore dei trasporti e del magazzinaggio (61 vittime), seguiti da quelli che lavorano nel mondo delle costruzioni (58 vittime). E poi le vittime nelle attività manifatturiere (51 vittime) e del commercio (32 vittime).
Un numero che si aggiorna quotidianamente senza mai arrestarsi.
Da gennaio a luglio del 2023, secondo i dati dell‘Inail, le persone morte sul lavoro sono in tutto 430. Cifra di per sé tragica alla quale devono aggiungersi tutti coloro che hanno perso la vita durante il tragitto dalla casa al luogo di lavoro: altre 129 persone per un totale di 559 vittime.
La fascia di età più colpita è quella di lavoratori tra i 55 e i 64 anni; per i lavoratori stranieri il rischio di infortunio mortale è quasi doppio rispetto a quello per gli italiani.
La cultura della sicurezza stenta a prendere piede malgrado le iniziative a livello nazionale e locale si moltiplichino.
La maglia nera delle morti sul lavoro la indossa la Lombardia, ma i dati preoccupanti riguardano tutte le regioni italiane.
La Giornata Nazionale per le vittime degli incidenti sul Lavoro è nata nel 1998 e fu istituita, su richiesta dell’Anmil (l’Associazione Nazionale dei Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro), con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica.
Si calcola che ogni due giorni muoiano 5 lavoratori nell’ esercizio della loro attività o nello spostamento da casa al posto di lavoro. Numeri che devono trovare un’inversione attraverso la logica della formazione e il braccio operativo dei controlli. Fino a quando non si andrà in quella direzione il rischio è di stare ad aggiornare impassibilmente la triste contabilità.