
Era il 15 ottobre 1917 quando Mata Hari, la donna dai mille volti che aveva infranto tutte le norme del ventesimo secolo, mise in scena la sua ultima esibizione, la migliore della sua vita. Accusata di aver rivelato alla Germania i segreti carpiti durante i meeting sotto le lenzuola con gli ufficiali francesi troppo chiacchieroni, condannata a morte per tradimento, si presentò al passo d’addio quasi danzando, come aveva fatto nella sua vita. «Non abbiate paura per me sorella. Saprò morire, state per assistere ad una bella morte», furono le sue ultime parole, pronunciate quando si congedò dalla monaca della prigione di Saint-Lazare. E così fu.
Quella mattina, rifiutò di essere legata al palo e bendata. Restò in piedi a testa alta, con orgoglio, guardò fisso negli occhi il plotone. Mandò un bacio ai dodici soldati, accennò un sorriso, il più ammaliante mai fatto e si accasciò a terra senza vita, coperta solo dal soprabito con cui aveva avvolto il corpo nudo. Uccisa, si racconta, solo da tre colpi, uno fatale al cuore. Otto, su undici (perché un fucile, secondo la regola, era caricato a salve perché ogni soldato potesse pensare di non essere stato lui a tirare il colpo mortale) andarono a vuoto. Un’ultima galanteria per quella donna che aveva fatto sospirare gli uomini di mezza Europa.
Era circola anche un’altra storia, più romantica. Si racconta che un certo Pierre de Morisac, uno dei tanti a cui aveva fatto perder la testa, avesse corrotto i soldati, prima dell’ordine di far fuoco.
Ma Mata Hari morì. Aveva 41 anni. Se ne andò via, in gran segreto, all’alba, come il nome che aveva scelto: «Occhio dell’aurora» in Malese. Dopo la sua esecuzione il suo corpo fu gettato in una fossa comune. Nessuno degli uomini ricchi e potenti che avevano amato la danzatrice senza veli lo reclamò. Nessuno si offrì di darle una degna sepoltura. Neanche Vladimir “Vadim” Maslov, il giovane capitano russo che le aveva chiesto di sposarlo.
Da un matrimonio infelice a Diva amata da tutti
Eppure la storia della sua vita ha ispirato centinaia di libri e film. Era ancora Margaretha Zelle quando comprese che il modo migliore per ottenere dagli uomini quello che voleva era accontentarli. Dopo la morte della mamma e senza un papà che l’aveva abbandonata per fuggire con un’altra donna, fu mandata, a 14 anni, in una scuola per diventare insegnante. Fu espulsa un paio d’anni dopo per aver avuto una relazione con il preside. A 18 anni, annoiata e infelice, rispose a un annuncio di matrimonio pubblicato sul giornale da un ufficiale, un certo Rudolph MacLeod. L’unione con il Capitano sarebbe stato il suo passepartout per una nuovs vita, ma non cambiò nulla dopo il sì.
L’ufficiale, molto più anziano di lei, aveva pochi soldi, molti debiti e un buon numero di storie extraconiugali. Dopo la morte del primo figlio, di appena due anni, andò via. Nel 1902 arrivò la separazione, poi il divorzio. La seconda figlia Louise Jeanne, inizialmente affidata alla madre, fu cresciuta dal padre.
Tre anni dopo, nel 1905 apparve sulla scena parigina una danzatrice esotica: Lady MacLeod, in arte Mata Hari. Vestita con un abito trasparente, un reggiseno tempestato di pietre preziose e un copricapo, si esibì davanti a 600 invitati dell’élite francese. In qualsiasi altra circostanza sarebbe stata arrestata per indecenza, ma non lei che all’inizio di ogni spettacolo si prendeva il tempo per raccontare che si trattava di danze sacre a cui il pubblico assisteva con entusiasmo. Erano storie di lussuria, gelosia, passione e vendetta in cui si intrecciano bugie e verità. Si dice abbia avuto centinaia di amanti. Aristocratici, diplomatici, finanzieri, alti ufficiali e facoltosi uomini d’affari, che le regalavano pellicce, gioielli, mobili, dimore eleganti o cavalli solo per il piacere di stare in sua compagnia. Era diventata una diva, in un’epoca meravigliosa.
«Corrotta sì, traditrice mai»
Con la prima guerra mondiale cambiò tutto. Il primo ad offrirle dei soldi per fare la spia, nel 1915, fu Karl Kroemer. Il console onorario tedesco le diede 20mila franchi che Mata Hari considerò un risarcimento per le pellicce, i gioielli e i soldi che i tedeschi le avevano confiscato allo scoppio della guerra, ma non accettò l’incarico. Qualche anno dopo, toccò a Georges Ladoux farle una offerta. Il capo del neonato Deuxième Bureau (l’unità di controspionaggio) del ministero della guerra aveva ordinato ai suoi agenti di pedinarla, di seguire i suoi spostamenti, ma non trovarono nessuna prova del suo coinvolgimento nella trasmissione di informazioni rilevanti agli agenti tedeschi. Mata Hari acconsentì a diventare una spia al servizio dei francesi per un milione di franchi, che le avrebbero permesso di mantenere Vadim dopo il matrimonio nel caso in cui la sua famiglia lo avesse ripudiato. Forse fu questo doppio gioco a condannarla.
La fine arriva nel 1917. Scaricata da Ladoux e senza più soldi fu arrestata con l’accusa di spionaggio in favore della Germania. Al processo le uniche prove presentate erano quelle che dimostravano il suo stile di vita “immorale”: uno dei poliziotti incaricati di pedinarla a Parigi raccontò delle sue spese folli e dei suoi vari amanti altolocati. Anche i testimoni la difesero. Processo rapido, a porte chiuse. Dichiarata colpevole fu condannata a morte per fucilazione.
Il 15 ottobre 1917 si era svolto l’atto finale di Margaretha Zelle che nella vita non comune era stata tante cose, ma forse non spia.
Quattro giorni dopo la fucilazione, anche Georges Ladoux, l’uomo che aveva ripetuto con monotona durezza il suo j’accuse fu arrestato per spionaggio a favore della Germania.