«Minuetto», il capolavoro immortale di Mia Martini


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«E vieni a casa mia, quando vuoi, nelle notti più che mai. Dormi qui, te ne vai, sono sempre fatti tuoi». Tutti, ma proprio tutti, hanno cantato almeno una volta nella vita Minuetto, il brano forse più famoso di Mia Martini. Un successo all’epoca, come oggi. La canzone, (ri)scritta da Franco Califano sulla musica di Dario Baldan Bembo non solo fa  vincere a Mimì il Festivalbar per la seconda volta consecutiva (cosa che era riuscita solamente a Lucio Battisti), ma si piazza al secondo posto della classifica dei 45 giri e ci resta per trenta settimane di fila. Sarà il singolo più venduto del ‘73 insieme a «Pazza idea» di Patty Pravo.

Non è facile descrivere le sensazioni provate davanti a quella che, senza dubbio, è una poesia struggente e dolorosa. «Troppe volte vorrei dirti no e poi ti vedo e tanta forza non ce l’ho. Il mio cuore si ribella a te, ma il mio corpo no. Le mani tue, strumenti su di me, che dirigi da maestro esperto quale sei…», scrive il Califfo, forse non immaginando di aver confezionando in una notte il racconto di una storia d’amore sul punto di naufragare che resisterà al tempo.

La storia di Minuetto

Il testo di Minuetto non era come quello cantato oggi. Le stesure di Maurizio Piccoli e Bruno Lauzi e quella di Luigi Albertelli, dal titolo «Salvami» non convincono. I discografici e la cantante non sono sicuri di avere tra le mani un capolavoro. Non era facile ripete il successo ottenuto da Piccolo Uomo che aveva regalato la popolarità alla cantante calabrese, consacrandola come una delle voci più interessanti del panorama musicale italiano. A questo punto entra il gioco un ancora poco noto Franco Califano che, dopo una telefonata, butta giù delle parole (bellissime), ispirandosi alle vicissitudini sentimentali di Mimì, innamorata di Ivano Fossati, con cui vivrà una storia d’amore travagliata (lei la descriverà come un «campo minato»). Il resto lo ha fatto la musica, una ballata lenta e malinconica.

«Io ero a Milano e fui chiamato per ultimo, come sempre. […] ed è lì che ho azzeccato il testo, facendomi raccontare un po’ della sua vita in quel momento. E gliel’ho scritta addosso, insomma. Ho fatto un po’ il sarto e un po’ l’artista» disse il Califfo che riuscì a trovare le giuste parole per descrivere, con delicatezza, l’attesa (pari a un’agonia), le ore tutte uguali vissute da una donna, prigioniera senza catene di un uomo, che la usa e se ne va.

«Appena finito di comporre, sentii subito che si trattava di un pezzo del quale Mia Martini avrebbe colto perfettamente tutte le sfumature, la sua malinconia, la sua storia di amore disperato» disse orgoglioso l’artista romano in un’intervista a Vincenzo Mollica. Firmerà altri pezzi, come la Nevicata del 56.

«Piacerà alla gente di palato fino. Ma, siccome oggi i gusti si sono affinati, dovrebbe piacere anche al grande pubblico», disse Mimì. Sono passati cinquanta anni e Minuetto piace ancora perché tocca delle note che in pochi riescono a raccontare.