Turismo, basta dare numeri piuttosto impariamo a gestirli. L’editoriale di Alberto Siculella

Parliamo di turismo, snoccioliamo dati ma non è chiaro a quale modello di sviluppo aspiriamo, con quali ricadute sociali, culturali, occupazionali, ambientali.

Prima di consegnarci al letargo invernale, con sussulti e risvegli per qualche ponte e qualche festività natalizia, abbiamo finito di fare i conti con arrivi e presenze. Conclusa la stagione estiva nel Salento, climaticamente più lunga del previsto, ci lasciamo alle spalle uno sterile dibattito sugli scontrini e inutili paragoni con l’Albania. Così a ottobre, come in qualsiasi villaggio vacanza estivo, quale di fatto siamo, visto che concentriamo il 70% di arrivi e presenze in 5 mesi, contiamo i ticket d’ingresso e facciamo il bilancio.

Dati snocciolati per rimarcare boom e record per decantare meriti inesistenti.

La verità è che il turismo, condizionato da macro fattori, vedrà una progressiva e costante crescita di flussi e spostamenti. Ovunque. Perciò i dati di questi giorni non mentono, ma il modo di utilizzarli sì. Vizio di un errore concettuale, già presente nel nome dell’agenzia regionale: PugliaPromozione. Chi mastica management sa che la promozione è una delle leve del marketing, ma qui appare spesso l’unica, a tal punto da lambire i confini della propaganda, in una terra che si scopre capace nel promuoversi, tanto quanto incapace nel gestire flussi, servizi, realizzare posizionamenti e destinazioni, controllare effetti e ricadute.

Il tema è: a cosa portano quei numeri? A quale modello di sviluppo? Con che ricadute sociali, culturali e in termini di occupazione, tutela dell’ambiente, salvaguardia del territorio e legalità?

Vale per tutta la Puglia, per il Salento e per il suo capoluogo.

A Lecce, in questi anni, abbiamo assistito ad ordinanze stagionali, a bandi di gara andati deserti ed una pioggia di affidamenti diretti. È successo con Lecceinscena.it, un portale tanto costoso quanto inutile, tecnicamente pessimo, visto che non è indicizzato, privo di App benché la sua realizzazione fosse indicata in delibera.

È successo con le Mura Urbiche, dove la società Mediafarm e la cooperativa Artwork (quest’ultima nata qualche anno fa per la gestione degli ingressi a pagamento nelle principali chiese leccesi), da anni gestiscono, in affidamento diretto, il bene pubblico leccese che, anche quest’anno, non ha prodotto alcun introito per le tasche del Comune, poiché i numeri degli accessi alla mostra di Banksy e alle Mura, sono sotto la soglia sopra la quale sarebbero state riconosciute royalties per l’Ente. Così il Comune ha proceduto ad una proroga nella speranza che quella soglia possa essere raggiunta e superata.
Con il ticket unico, Castello Carlo V, Mura Urbiche, Parco Archelogico di Rudiae e mostra di Banksy non si è andati oltre i 50 mila accessi. Per dare una misura, il Castello di Gallipoli, da solo, ne conta oltre 30 mila. Un flop, insomma.

Sta succedendo così anche per il Piano Strategico del Turismo, anche qui con un affidamento diretto da circa 50mila euro, per redigere un progetto, a termine del mandato elettorale, che varrà per i prossimi 5 anni, e nelle intenzioni prevede svariati interventi che, come gli esperti sanno, dovrebbero emergere solo dopo una fase di analisi, adeguandoli a risorse, tempistiche e obbiettivi.

Non è più tempo di usare i numeri per la propaganda, ma per un’attenta analisi di un modello che ha visto un rapido processo di turistificazione che ha trovato terreno fertile nell’improvvisazione e nella mancanza di visione strategica. Fenomeno, quest’ultimo, che ha generato dinamiche predatorie e speculative, tradotte in privatizzazioni, ulteriore inflazione del mercato immobiliare, senza le dovute compensazioni in termini di ricadute sociali, culturali, occupazionali ed economiche, visto che il valore aggiunto dell’economia turistica, stando ai dati di sociometrica, è diminuito, alla faccia del “turismo altospendente”.



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