Movimento No Tap sulle condanne: “Giudizio dall’evidente indirizzo politico, si va avanti nonostante tutto”

Le parole del movimento No Tap a 24 ore dalla condanna di 67 dei 92 imputati nei tre rami del processo sui disordini occasionati dal gasdotto.

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“Non sarà questa sentenza a farci indietreggiare, non sarà questo chiaro messaggio intimidatorio a farci desistere dal continuare a credere che siamo la parte migliore di questa brutta storia, che siamo dalla parte giusta”. Queste le parole degli attivisti No Tap a 24 ore dalla decisione con cui il giudice monocratico del tribunale di Lecce, Pietro Baffa, ha inferto condanne dai 6 mesi ai 3 anni e 2 mesi di reclusione per 67 delle 92 persone finite a vario titolo sul banco degli imputati dopo i disordini occasionati dall’avvio del gasdotto Tap.

È affidata a un lungo post sui canali social la replica alla sentenza – definita “di evidente indirizzo politico” – degli attivisti del movimento, in un primo tempo orientati a non replicare a caldo l’esito del processo di primo grado. “Avremmo tanto da dire su quanto accaduto ieri nell’aula bunker del carcere di Lecce, cercheremo di farlo, rimanendo lucidi davanti ad un giudizio che, a nostro avviso, ha avuto un evidente indirizzo politico“, affermano. “Ci troviamo qui a dover commentare ancora una volta la criminalizzazione messa in atto da un apparato repressivo che coinvolge lo Stato a diversi livelli, con la complicità di una certa stampa che, senza essere presente a nessuna delle udienze, è stata pronta a giudicare, arrivando a definire ‘esito finale’ quello che è solo il primo grado di giudizio”.

Tra i reati contestati quello di violenza privata, deturpamento, danneggiamento e manifestazione non autorizzata. Capi d’accusa contro i quali i legali degli attivisti hanno promesso ricorso in appello, in attesa delle motivazioni della sentenza di primo grado attese entro 15 giorni. Nel frattempo, gli attivisti contestano le scelte del giudice monocratico, ribadendo, d’altra parte, la contrarietà a un’opera considerata inutile e dannosa. “Tutto questo – affermano dal movimento – sembra un accanimento contro il diritto al legittimo dissenso nei confronti di un’opera inutile, dannosa e imposta, presentata come strategica, che invece di strategico ha solo il raschiare il barile dei fondi europei”.

“È un’opera climalterante che va contro ogni sana logica di cambiamento, lontana anni luce da quella transizione energetica di cui in nostri politici si vantano tanto. Pare sempre più evidente che questo accanimento è rivolto a chi protesta contro quel sistema in cui il tap è inserito, un sistema di sviluppo che strizza l’occhio al potere economico, abbandonando intere popolazioni alla propria sorte. Un sistema che alletta con le sue sirene ma che lascia intorno a sè distruzione, povertà e un sempre maggiore divario tra classi sociali”.

Amaro in bocca anche per il lasso di tempo ridotto deciso dal giudice per il deposito delle motivazioni della sentenza. Scelta criticata al termine del processo anche dall’avvocato difensore, Francesco Calabro, che ha avanzato il sospetto della inutilità della sua discussione risalente a tre giorni antecedenti alla pronuncia.

A rincarare la dose gli attivisti No Tap: “Ciò che fa più pensare, e lo hanno ribadito anche i nostri legali, sono i soli 15 giorni valutati da Giudice come sufficienti per depositare le motivazioni delle sentenze. Il numero elevatissimo di attivisti imputati e la complessità dei contesti e dei fatti, ci aprono ad un interrogativo: ci chiediamo se il Giudice dovrà spendere giorni e nottate per fornire motivazioni soddisfacenti o se, in realtà, il tutto non lo abbia già elaborato. Ai 15 giorni ne seguiranno 30 affinché i nostri legali possano elaborare e depositare gli appelli”.

Tempi eccessivamente stretti, come ribadito anche dai legali al termine del processo, che, secondo il movimento, “non solo limitano la possibilità di imbastire una difesa serena e priva di pressioni, ma che impongono ancora una volta un tour de force ai nostri legali. La regia che si cela dietro all’imposizione di questo sistema – continuano gli attivisti – ha da sempre avuto bisogno di criminalizzare chi lotta per le giustizie sociali ed ambientali, così come ha la necessità di incutere timore nelle popolazioni istituendo zone rosse e limitazioni, mostrando i muscoli e schiacciando la ragione ma, malgrado tutto questo, ci sentiamo di ribadirlo ancora più forte. Nonostante tutto – concludono – ci troverete ancora qui: noi l’effetto voi la causa del nostro malcontento”.



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