Sono passati anni da quel 2 luglio 1993 quando nella battaglia di Checkpoint Pasta, uno scontro a fuoco tra truppe italiane in missione umanitaria a Mogadiscio e ribelli somali, morirono e vennero feriti gravemente molti militari. A perdere la vita anche il salentino Pasquale Baccaro, 21enne di Minervino di Lecce.
La “Battaglia del Pastificio”
È ricordata come la “Battaglia del Pastificio”, ma fu un vero e proprio attacco al contingente italiano che si trovava a Mogadiscio per una missione di pace, voluta per distribuire aiuti umanitari alla popolazione. La Somalia era nel caos, provata da anni di guerra civile: la conta dei morti e del fiume di profughi che avevano lasciato la loro terra per cercare fortuna altrove aveva spinto l’ONU a promuovere quella che fu definita «la più grande operazione umanitaria della storia» che, in realtà, si rivelò un mezzo fallimento.
Era il 2 luglio 1993, quando a pochi passi da “Checkpoint Pasta”, un posto di blocco chiamato così perché costruito nei pressi di un vecchio pastificio abbandonato, nel quartiere Haliwaa, ci fu un’imboscata in cui persero la vita tre parà della Folgore tra i quali, il salentino Pasquale Baccaro, originario di Minervino di Lecce. .
L’Italia pianse così i primi militari caduti in combattimento dalla fine della seconda guerra mondiale.
Il giorno della battaglia
Alle 5.00 del mattino del 2 luglio partì un rastrellamento per le vie semideserte da parte dei militari italiani. “Canguro 11”, era denominata così l’operazione ad Haliwa, il distretto a nord di Mogadiscio.
La ricerca, casa per casa, di depositi di armi appartenenti ai miliziani di Mohamed Farrah Aidid, un potente “signore della guerra” che all’epoca si contendeva il controllo della città con altri guerriglieri locali, non portò a grandi risultati. Nei controlli come questo, di routine, gli uomini in divisa potevano contare sulla collaborazione di poliziotti somali, preziosi per la lingua, ma anche degli abitanti locali, con cui il contingente italiano aveva creato, con il tempo, un buon rapporto. Quando in un casolare abbandonato fu trovato un cospicuo numero di armi, la tensione iniziò a salire.
Improvvisamente, secondo la ricostruzione dei peacekeeping, la situazione precipitò. Gli abitanti del quartiere scesero in strada e iniziarono ad inveire contro gli italiani. Vennero erette le prime barricate e i militari italiani vennero fatti bersaglio di sassaiole. I manifestanti mostrano il corpo di una donna morta, accusando i soldati italiani di aver “aperto il fuoco” e reclamando giustizia.
Era una missione di pace e non si poteva sparare contro donne e bambini. Così, il generale Bruno Loi ordina il ritiro. Ma la colonna italiana “Alpha”, bloccata da alcune barricate, si ritrovò sotto un fuoco incrociato. I miliziani si nascondevano ovunque: tra la folla, nelle case, sui tetti. Il sergente maggiore Stefano Paolicchi viene colpito da una pallottola che era riuscita ad infilarsi sotto il giubbotto anti-proiettile, all’altezza della milza. Trasportato in ospedale muore poche ore dopo. Aveva trent’anni.
Un triste destino
La missione umanitaria, o di “pace”, si trasformò in un bollettino funesto per il contingente italiano che registrò le prime perdite umane. Per le strade di Mogadiscio si era scatenato l’inferno scoppiato, stando a voci mai confermate (né smentite), perché nella zona aveva trovato rifugio il generale Mohammed Farah Aidid, uno dei signori della guerra somali, ritenuto un grosso ostacolo al raggiungimento di un accordo di pace. Fu lui a dare il via agli scontri, per avere il tempo e la libertà di fuggire.
Su via Imperiale, una grande strada costruita per collegare Mogadiscio ad Addis Abbeba, superato il pastificio, uno dei carri armati italiani venne colpito da un razzo che squarciò la corazza.
All’interno del carro, il parà Pasquale Baccaro, di 21 anni. Per lui non ci fu nulla da fare. Gravemente ferito alla gamba sinistra dall’esplosione, morì dissanguato pochi minuti dopo. A perdere la vita fu anche Andrea Millevoi.
Tra i 22 feriti c’è anche Gianfranco Paglia, colpito mentre tenta disperatamente di portare in salvo i suoi compagni feriti. Avrà salva la vita, ma perderà per sempre l’uso delle gambe.
“Si è rotto l’incantesimo”. È stato questo il triste leitmotiv dei titoli dei quotidiani italiani il giorno dopo la battaglia del pastificio.
Pasquale Baccaro
Paracadutista di leva, il caporale Pasquale Baccaro, originario di Minervino di Lecce, faceva parte del contingente italiano impegnato in Somalia, nella Missione Ibis nell’ambito della missione umanitaria UNOSOM II ed era effettivo alla XV Compagnia Diavoli Neri del 186º Reggimento paracadutisti “Folgore”.
I funerali di Stato per Pasquale Baccaro furono celebrati a Roma, nella basilica di Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, in presenza del Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro.
A Pasquale Baccaro è stata conferita la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria.