Ogni anno, puntuale come l’albero che si riempie di luci lampeggianti e palline che minacciano di cadere da un momento all’altro, arriva il momento in cui ci trasformiamo tutti in esperti di giustificazione culinaria. Natale, si sa, non è solo panettone e pandoro: è il periodo in cui la bilancia stona con gli addobbi, le luci luccicanti e la tavola imbandita. Come si accettano le tradizioni, le coperte pesanti, i parenti che fanno sempre le stesse domande a Natale si mangia. Punto.
Ma perché ci sentiamo autorizzati a divorare tutto, senza ritegno, come se non ci fosse un domani? Alcuni storici del divano sostengono che sia una tradizione vecchia quanto le luminarie. Già nell’antichità, i nostri antenati usavano Natale come scusa ufficiale per accumulare calorie in vista del rigido inverno. E se funzionava allora perché mettere in discussione questa teoria che funziona così bene? Perché dubitare adesso?
La magia del Natale non sta nei regali, ma nella straordinaria capacità di giustificare l’indifendibile. Due antipasti? Normale. Tre primi? Necessario. Quattro dolci? Tradizione. Ogni boccone diventa un atto sacro, e chi prova a metterti in discussione si trova improvvisamente accusato di lesa maestà calorica.
C’è una regola non scritta che dice: se lo metti su un piatto e lo chiami “specialità natalizia”, non solo è commestibile, ma addirittura doveroso. Sappiamo già che l’assaggio diventerà una porzione, che la porzione diventerà un’altra portata e che la portata diventerà un pranzo lucculliano. Sappiamo che dopo il dolce qualcuno proporrà “solo un pezzettino” di qualcosa che non avevamo previsto ma va bene così, perché tanto è Natale. “Tanto è Natale” non è una frase, è una filosofia. È il lasciapassare universale che sospende il senso di colpa e rimanda ogni decisione seria a gennaio. Qualche fetta di panettone con crema, un bis di lasagne, due tortellini per la tradizione… e se qualcuno osa fare osservazioni, basta pronunciare la parola magica.
E poi, diciamolo, ci piace. Ci piace lamentarci con la mano sulla pancia, dire che non ce la facciamo più, promettere che non toccheremo cibo fino all’anno nuovo mentre accettiamo l’ultimo boccone. È una sofferenza felice, condivisa, che dura giusto il tempo di un pranzo infinito e di una digestione ancora più lunga.
Alla fine, a Natale non mangiamo troppo. Mangiamo come si fa a Natale. Senza chiederci perché, senza misurare, senza controllare. Mangiamo perché fa parte del rito, perché succede così, perché per qualche giorno l’eccesso è permesso e perfino incoraggiato.
E in fondo, se c’è un momento dell’anno in cui possiamo permetterci di mangiare senza una spiegazione razionale, è proprio questo. E in fondo, se c’è un momento dell’anno in cui possiamo concederci di mangiare senza una spiegazione razionale, è proprio questo. Il resto dell’anno? Beh, quello è un problema… di gennaio.
Adesso tocca al dolce.