L’impegno al contrasto delle povertà, gli inviti all’abbandono dello sfarzo e del superfluo accompagnati all’abbraccio della sobrietà. E poi ancora il continuo rifuggire da personalismi per lavorare meglio, inseme ai propri fedeli, nell’intercettare quelle “periferie estistenziali” sempre indicate da Papa Francesco. Senza dimenticare, poi, i mai mancanti saluti ai “fratelli di Borgo San Nicola”. In ultimo, le cittadinanze onorarie. Riassumere in poche righe la mano paterna di Mons. Domemico Umberto D’Ambrosio, per 8 anni arcivescovo metropolita di Lecce, sarebbe impossibile. Il pastore della Chiesa leccese ha seminato tanto, in questi anni, ed i frutti hanno avuto modo di vedersi oggi, durante l’ultimo atto pubblico alla guida della Diocesi. In che modo? Semplice, raccogliendo l’affetto dei salentini, dai più giovani agli adulti, che lo hanno seguito sin dal 4 Luglio 2009.
Mons. D’Ambrosio ha presieduto una concelebrazione eucaristica assieme a tutti i sacerdoti e i rappresentanti delle comunità parrocchiali. La concelebrazione in cattedrale è stata preceduta, a partire dalle 17.00, da un momento di saluto promosso dai giovani della diocesi nell’atrio dell’antico seminario di Piazza Duomo.
Il messaggio di saluto
Nel messaggio di saluto, mons. D’Ambrosio ha sintetizzato il suo cammino, ricordando gli “operosi degli otto anni che le misteriose vie della provvidenza mi hanno dato da vivere con voi in questa santa Chiesa di Lecce“:
“Non posso non riandare al 4 luglio 2009, il giorno dell’inizio del mio ministero a Lecce e a quella bellissima sensazione che ho vissuto entrando in piazza Duomo. Ho fatto fatica nell’attraversare lo stretto ingresso delimitato dai propilei, ma subito mi sono sentito accolto e protetto dall’abbraccio della piazza e delle migliaia di mani e braccia che si protendevano verso di me”.
“Mi mancherà…”
Nella parte iniziale, D’Ambrosio elenca un po’ le varie mancanze che, più in là, subentreranno. A cominciare da luoghi, “barocchi” e non, del capoluogo salentino:
Mi mancherà la composita e dinamica architettura di questa nostra piazza, così come più volte al giorno la contemplavo dalla superba balconata dell’episcopio, spazio che apriva il mio primo mattutino rosario per la città che ancora sonnacchiosa tentava di riprendere il suo lavoro quotidiano; la superba e altezzosa mole del Campanile, la chiassosa accoglienza dell’arco di trionfo dominato dalla nicchia con Sant’Oronzo e dall’ingresso laterale del nostro maggior tempio, attraversato quotidianamente dalle frotte scomposte e irriverenti di turisti e visitatori, il silenzioso e austero ingresso centrale con il portone di bronzo che sintetizza un arco di storia importante della nostra Chiesa e il suo visitatore più illustre e santo: Giovanni Paolo II accolto dal grande pastore mons. Cosmo Francesco Ruppi. Mi mancherà il palazzo del Seminario che racconta tra le sue mura la storia di migliaia di adolescenti e giovani nell’itinerario di preparazione al sacerdozio e oggi la fervida attività delle strutture a servizio di tutta la diocesi con gli uffici di Curia e la sede del nostro locus theologicus: l’Istituto superiore di scienze religiose metropolitano “don Tonino Bello”. Di sicuro sentirò la mancanza della mia passeggiata alle prime luci dell’alba lungo le vie, gli angoli, le corti, le piazze del centro storico che mi svelavano la cura e la bellezza della pietra ricamata che la rende animata, bella, ricercata e attraente.
“Cosa saranno 320 chilometri?”
Una distanza fisica che, comunque, non potrà mai lenire l’affetto ricevuto dal popolo leccese:
Sono certo che spesso per vincere la nostalgia abbandonandomi al ricordo continuerò ad avvertire anche da lontano la sensazione del grande abbraccio con cui mi avete accolto in piazza Duomo. Il grande amore che mi avete donato in questi anni in molti modi non si deteriora o impoverisce per la distanza fisica che ci separerà: cosa saranno 320 chilometri? L’amore quando è vero, viene accatastato nel cuore e perciò diventa quasi impossibile annullarlo. Vi posso assicurare che mi sono garantito uno spazio e un tempo dove potrò trovarvi sempre: lo spazio è quello delle mie braccia alzate e il tempo è quello della preghiera nella quale si materializzeranno i vostri volti, spie di storie vissute e condivise. Volevo con questa mia confidenziale lettera assicurarvi che la forza del legame che mi ha stretto a tutti voi.
“Un tempo di grazia”
Mons. Domenico, inoltre, rivela ciò che, d’ora in poi, lo terrà occupato, dando “ampio spazio al mistero della consolazione”.
In ragazzi, giovani, adulti, anziani, ammalati, ospiti della casa circondariale, autorità di ogni ordine e grado, religiosi/e, presbiteri – non allenterà, di sicuro in me, il ricordo e l’affetto verso di voi ma soprattutto la gratitudine per il molto che mi avete donato. A questo molto la mia risposta è stata inferiore alle vostre attese perché – ahimè – dovevo e potevo darvi di più. Farò degli anni che il Signore mi darà ancora da vivere un tempo di grazia nel silenzio e nel nascondimento, come Gesù a Nazareth, aperto però all’accoglienza di quanti mi cercheranno per essere aiutati a precorrere la strada che conduce all’incontro con il Padre che sa aspettare. Darò ampio spazio al ministero della consolazione dedicando molto del mio tempo agli anziani e agli ammalati. Di certo dovunque sarò vi porterò con me al Signore.
L’abbraccio finale
Adesso, Mons. D’Ambrosio trascorrerà le sue giornate a San Giovanni Rotondo:
Molti di voi già sanno che vivrò questi ultimi anni della mia vita a San Giovanni Rotondo all’ombra e sotto la protezione di San Pio da Pietrelcina. Questo nostro Santo mi è stato vicino sempre e la sua intercessione ha ottenuto per me quello che mi era necessario per continuare ad essere segno forte, sicuro e operoso di quel grande dono che il Signore ha voluto per me: il ministero sacerdotale e quello episcopale! Un segreto che confido alle persone che mi vogliono bene. Con San Pio avevo un grosso debito. Avendolo estinto potevo venire e sono venuto tra voi! Qualunque sarà la motivazione che condurrà molti di voi in quella terra, sappiate che sarò contento di accogliervi e godere di quel legame che né anni, né distanze, né perdite di memoria potranno indebolire. Immensa e dovuta la gratitudine per ciascuno di voi che si evince dal grande, commosso e affettuoso abbraccio e dalla benedizione nel nome del Signore Gesù che ha fatto incrociare i nostri passi.