La Mara, una storia di scandali e riscatto nella Lecce degli anni ‘50

Quella della Mara, al secolo Antonio Lanzalonga, è una storia di dolore ma anche di riscatto che riecheggia ancora tra le strade del centro storico.

La storia de «La Mara» è la storia di Lecce negli anni 50. Nata nel 1932, ufficialmente con il nome di Antonio Lanzalonga, fu costretta a lasciare la sua città per Roma, dove sognava una carriera di attrice. La vita alla fine l’ha portata a Genova, dove vendeva il suo corpo, ma dire che era solo una prostituta è sbagliato. La Mara, come aveva scelto di chiamarsi dopo aver letto il manifesto di un film della Lane, era molto altro. Quando è tornata “a casa”, nella sua città, è riuscita a trasformare il cuore del centro storico nel suo impero. Tra Vico delle Giravolte, la Chiesa Greca e quella delle Scalze aveva costruito la sua ‘fortuna’, mattone dopo mattone, vendendo le sue grazie – che, si dice, costavano molto – a chi di giorno la insultava e di notte la cercava.

Con i risparmi aveva acquistato diversi immobili fatiscenti nella parte antica della città, bugigattoli che aveva affittato a chi era disperato come lei, riuscendo a trasformare la sua vita difficile, divisa tra lacrime e paillettes, in un riscatto.

Sono ancora tanti i salentini che passeggiando per il centro storico sentono ancora qualcuno che sussurra il suo nome, che racconta la sua storia, nascosta tra quelle mura che parlando di amarezza e rivincita, di scandali e moralità.

Non deve essere stato facile per lei, transessuale dichiarata, parrucca bionda e pelliccia, cuore e spregiudicatezza, respinta e desiderata, essere se stessa, riuscire a gestire quel corpo maschile e quell’indole femminile. Ripudiata dalla sua famiglia, non si è mai nascosta. Ha camminato a testa alta quando sembrava impossibile farlo, quando tutti la canzonavano e lei rispondeva sempre con un sorriso beffardo accompagnato da qualche parola colorita che si lasciava sfuggire prima di continuare dritta per la sua strada. È stata coraggiosa, quando ha rivelato la propria omosessualità e quando ha intrapreso la strada del marciapiede che le ha tolto e le ha dato tanto. Mara era diventata ricca, miliardaria dicono a Lecce, battendo per o vendendo sigarette, una volta tramontato il sole. La sua scommessa con la vita l’aveva vinta.

E come ogni personaggio sono tanti i racconti, veri o “gonfiati” nati dopo la sua morte. Convinta peccatrice, ma anche molto religiosa, si dice che abbia voluto lasciare la sua “fortuna” – 20 o 70 appartamenti e 4 miliardi delle vecchie lire – alle monache di clausura del convento di San Giovanni Evangelista che per anni avevano assistito silenziose il via vai di uomini in grisaglia nella sua abitazione alle spalle del monastero.

Sognava il Duomo per il suo ultimo saluto, ma i funerali nella Cattedrale le furono negati. Troppo “sconveniente”. Si svolsero nella parrocchia più vicina al luogo dove è avvenuto il decesso, nella cappella dell’ospedale Vito Fazzi, dove era ricoverata da un mese per un ictus.

La Mara, sempre con il rossetto sulle labbra eternamente sbavato, colori accesi come la sua anima, il “travestito” più famoso del Salento come veniva chiamata all’epoca, non è scomparsa. Resta impressa nella memoria di chi l’ha conosciuta, di chi l’ha vista passare in sella al suo inseparabile ciclomotore, un minichic scassato. Si trova nelle parole di chi ha voluto raccontarla, come nel lungometraggio “Amara”, di Claudia Mollese,che ha impresso sulla pellicola i ricordi della ‘amiche’, delle compagne di strada che hanno disegnato con i ricordi un ritratto della sua vita chiacchierata. La voce roca di Lola, quella colta e sensuale di Principessa, quella emozionata di Anna. Un viaggio alla scoperta di una città invisibile, sospesa tra devozione e trasgressione.

Continua il viaggio di Leccenews24 allo scoperta dei personaggi della Lecce ‘vecchia’. Nel precedente affresco la storia di Giulia te le chiai.



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