
Il 9 maggio 1978 è una data che difficilmente potrà essere dimenticata. Mentre l’Italia era sotto choc per il ritrovamento del cadavere del presidente della Dc Aldo Moro, riverso nel bagagliaio di una macchina in via Caetani a Roma, un’altra notizia, proveniente da Cinisi, un piccolo paese della Sicilia affacciato sul mare, a 30 km da Palermo, gettò ancor più nello sconforto e nello smarrimento. Due fatti lontani, ma drammaticamente comuni, scoperti in un unico giorno.
Giuseppe Impastato, meglio conosciuto come Peppino, moriva a soli 30 anni. Ucciso dalla stessa mafia che nella sua breve vita aveva combattuto con forza. Dilaniato da una violenza esplosione di una carica di tritolo posta sotto il suo corpo adagiato sui binari della ferrovia sulla tratta Palermo-Trapani.
«La mafia uccide. Il silenzio pure».
Ammazzato perché aveva parlato, parlato e parlato ancora, dai palchi improvvisati sui quali rappresentava il suo impegno. Nel programma di satira «Onda Pazza» trasmessa dalla Radio Aut da lui fondata nel 1977 per la prima volta aveva fatto nomi e cognomi, cercando di rompere il silenzio che da troppo tempo era calato a Cinisi, quel tabù dell’intoccabilità dei mafiosi che fino a quel momento aveva governato sovrano. E se a farlo era uno che proveniva da una famiglia molto “nota” in paese la storia cambia.
Il marito di sua zia, Cesare Manzella, era un boss di prima grandezza nel firmamento delle coppole. Suo padre, invece, aveva un amico che era il numero uno di Cosa nostra, tale Tano Badalamenti, un nome diventato poi “determinante”.
Il padre Luigi Impastato morì misteriosamente, investito da una macchina, il 19 settembre 1977 poco dopo essere tornato dall’America dove si era recato per cercare di salvare, in qualche modo, la vita del figlio. Nonostante il dolore e la consapevolezza di essere rimasto ormai solo, Peppino si scagliò comunque contro la gente che si era recata a fare le condoglianze, domandando come facessero, proprio loro che lo avevano ucciso, a presentarsi a casa sua. Poi toccò a lui.
A far uccidere Impastato fu proprio don Gaetano Badalamenti, il bersaglio preferito delle trasmissioni in radio, ma anche in tutta la sua attività contro la mafia. Cento passi separano, in paese, la casa degli Impastato da quella dell’assassino, come ricorda il titolo del film di Marco Tullio Giordana che ha fatto conoscere al grande pubblico, attraverso il volto di Luigi Lo Cascio, la figura di quel giornalista, anche se giornalista diventò solo dopo la sua morte (perché Peppino fu iscritto all´albo professionale, quando finalmente Badalamenti, nel 1997, fu incriminato), che intraprese la sua personale battaglia contro le «ingiustizie» schierandosi a fianco dei giovani come lui, dei disoccupati, dei contadini. Una lotta che finì tragicamente su quei binari il 9 maggio 1978.
Pochi conoscono la vera storia di Peppino Impastato. C’è voluto tempo per far sapere a tutti chi fosse in realtà. Lui passato per «pazzo suicida» a causa di un biglietto trovato in mezzo ad un libro. “Medito sulla necessità di abbandonare la politica e la vita… oggi ho provato un profondo senso di schifo…“. Un pensiero intimo, scritto un anno prima, ma nessuno lo disse. La lettera era un testamento, la “prova” che il ragazzo si era tolto la vita.
Passò anche per «terrorista maldestro», morto saltando per aria mentre preparava un attentato dinamitardo, forse ha avuto in qualche modo la sua “giustizia”. Il caso era chiuso. Nessuno, però, gli può restituire i giorni successivi a quel drammatico episodio, quando venne fornita una versione diversa dalla realtà. Fu sepolto senza la verità il ragazzo di Cinisi e la notizia venne relegata nelle “brevi” di cronaca, inghiottita dal clamore per il ritrovamento in via Caetani del cadavere di Aldo Moro.
La verità
Gaetano Badalamenti , l’uomo più potente in quell’angolo di Sicilia, è morto per arresto cardiaco il 29 aprile 2004, all’età di 80 anni, nel carcere di Ayer, negli Stati Uniti. Per inchiodarlo è stata necessaria la testimonianza di un pentito eccellente della mafia di Cinisi, Salvatore Palazzolo. Un calvario finito l’11 aprile del 2002, quando il Tribunale ha emesso la sentenza contro don Tano Badalamenti: ergastolo per l’omicidio Impastato, di cui viene identificato come mandante.
La mamma, Felicia Bartolotta una figura determinante nella vita di Peppino, disse «Ora tutti sanno qual è la verità. Ora aspetto la condanna di Badalamenti e poi posso anche morire». Morì il 10 dicembre 2004 a 88 anni.