C’è un rito tutto italiano che, ogni estate, puntualmente si ripete. Appena il sole fa capolino sull’orizzonte – o addirittura qualche ora prima, se qualcuno sfida il buio e l’umidità – sulle spiagge libere cominciano a comparire ombrelloni piantati nella sabbia come segnaposto, teli stesi con geometrica precisione, borse frigo messe lì a segnare il confine. Un’abitudine sempre più diffusa per “prenotare” il posto migliore, a pochi centimetri dalla battigia. Ma la parte migliore arriva dopo aver conquistato la prima fila, il valoroso “prenotatore seriale” sparisce. Torna, forse, verso mezzogiorno. Forse.
Nel frattempo, l’ombrellone resta lì, come un post-it gigante piazzato sulla sabbia. E guai a toccarlo, mentre le mentre le persone normali, quelle che hanno osato dormire fino alle 8.30 o si sono concesse il lusso di fare colazione con un pasticciotto, arrivano e si ritrovano a montare il proprio accampamento dietro la fila di assenze ingombranti, lontano dal mare. Anche se la spiaggia, a quell’ora, è deserta, ma già “misteriosamente occupata”.
All’apparenza innocua, questa consuetudine nasconde però un atteggiamento ben più problematico: l’idea che uno spazio pubblico possa essere occupato e lasciato vuoto per ore, come se la spiaggia fosse un’estensione del proprio salotto di casa. Lasciare un ombrellone piantato per ore senza usarlo non è “furbizia”, è arroganza travestita da abitudine.
La spiaggia è libera, ma non per tutti
Facile ridere della creatività balneare nostrana, e in fondo c’è qualcosa di pittoresco in queste scene da commedia estiva. Siamo davvero sicuri che questa sia una pratica tollerabile? Il concetto di spiaggia libera dovrebbe significare esattamente questo: un luogo fruibile da tutti, secondo il principio del rispetto e della condivisione. Non uno spazio da “bloccare” a proprio piacimento in virtù di chi si sveglia prima o è più furbo. Eppure, questa “prenotazione non scritta” continua a essere considerata normale da molti,
Forse sarebbe il caso di iniziare a riflettere su questi gesti apparentemente banali, ma che rivelano un modo discutibile di vivere lo spazio pubblico. E magari chiederci: se tutti facessero così, cosa resterebbe davvero libero? Il mare è di tutti, ma l’educazione e il rispetto non sempre arrivano a riva.
E allora?
Un po’ di buon senso, gente. La spiaggia non è un parcheggio né un salotto di casa. È un bene comune, dove prima fila o decima, il mare è lo stesso per tutti. Godiamocelo con un po’ più di rispetto… e magari con un sorriso. Anche dietro l’ottava fila si può abbronzare benissimo. E se proprio volete il posto in prima fila, il consiglio è semplice: usatelo. Non lasciate che a goderselo siano solo un ombrellone chiuso e un asciugamano steso nel vuoto.