Non versava le indennità d’invalidità alla zia. Arriva la condanna per la nipote

Nelle scorse ore, i giudici della seconda sezione collegiale hanno inflitto la pena di 4 anni e 6 mesi di reclusione per il reato di peculato ad A.C, 48enne di Cavallino

Era accusata di essersi appropriata delle indennità della zia malata ed al termine del processo per la nipote è arrivata la condanna. Nelle scorse ore, i giudici della seconda sezione collegiale hanno inflitto la pena di 4 anni e 6 mesi di reclusione per il reato di peculato ad A.C, 48enne di Cavallino.

Il collegio giudicante ha inoltre disposto l’interdizione dai pubblici uffici per l’imputata. E poi, il risarcimento del danno da quantificarsi in separata sede ed una provvisionale di 3mila euro, in favore della vittima che si era costituita parte civile con l’avvocato Dario Congedo. L’imputata, difesa dall’avvocato Paolo Cantelmo, potrà presentare ricorso in Appello, appena verranno depositate le motivazioni della sentenza (entro 60 giorni).

 I fatti si sarebbero verificati tra i mesi di gennaio e luglio del 2014 e le indagini sono scattate dopo la denuncia della vittima, attraverso il proprio avvocato. Secondo l’accusa, la nipote, con una serie di prelievi, si appropriava indebitamente della somma complessiva di 798 euro, in qualità di amministratore di sostegno. Infatti, “intascava” mensilmente le indennità di invalidità civile della zia malata per la somma di 290 euro. Non solo, poiché, ogni mese, A.C. si appropriava anche delle indennità di accompagnamento per un valore di 508 euro. In base a quanto sostenuto dall’accusa, rappresentata dal pm Maria Vallefuoco, la nipote non versava alcuna somma in favore della zia, nonostante i continui solleciti e le difficoltà dell’anziana signora a fare fronte alle esigenze giornaliere.

 Al termine di un primo processo, A.C. venne condannata ad una pena lieve per appropriazione indebita. Successivamente arrivò il ricorso del pm che venne accolto dalla Corte di Cassazione. Il reato venne così riqualificato in peculato, poiché sarebbe stato commesso dalla donna in qualità di pubblico ufficiale e non di privato cittadino.

 

 

 



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