«Liberate Aldo Moro senza condizioni», l’appello di Papa Paolo VI alle Brigate Rosse


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Non sappiamo ancora tutta la verità sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, sulla strage di via Fani, quando il Presidente della Democrazia Cristiana fu sequestrato dalle Brigate Rosse, sui 55 giorni di prigionia e sul tragico epilogo, con il ritrovamento del corpo dell’onorevole di Maglie nel bagagliaio di una Renault 4 Rossa, parcheggiata in via Caetani.

Nell’infinita lista di misteri manca il pezzo del falso comunicato del lago della Duchessa e il tassello della “seduta spiritica” di un gruppo di professori dell’università di Bologna, tra cui Romano Prodi, che svelò la parola “Gradoli”. Come mai nel “gioco del piattino” fu indicata la via del nascondiglio di uno dei terroristi?

Il mistero dei 10 miliardi di lire per il riscatto

Tra le tante questioni irrisolte c’è il ruolo che avrebbe avuto il Vaticano nella trattativa segreta per liberare il politico democristiano. Paolo VI, legato da una profonda amicizia all’onorevole Moro, avrebbe messo a disposizione una cifra considerevole per tentare di salvarlo. Forse 10 miliardi di vecchie lire, una somma che doveva essere usata come riscatto. Più testimoni hanno descritto i soldi, la coperta sotto cui erano nascosti nella villa pontificia di Castel Gandolfo, le fascette di una banca estera e altri particolari di quella somma che, come racconta la storia, non servì a nulla. Da dove provenivano? Non dallo Ior come si è insinuato. E, quando non furono inutilizzati, che fine fecero? Nessuno lo sa.

Moro non poteva saperlo. Nell’ultima struggente lettera scritta alla moglie dalla “prigione del popolo”, quella del toccante «Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce sarebbe bellissimo», il politico conclude la missiva con un amarissimo sfogo, pietra tombale su ogni flebile speranza di essere liberato: «Tutto è inutile, quando non si vuole aprire la porta. Il Papa ha fatto pochino: forse ne avrà scrupolo».

La lettera agli uomini delle BR

Certa, invece, è la lettera che il Pontefice scrisse agli uomini delle Brigate Rosse per chiedere la liberazione del Presidente, descritto come “uomo buono ed onesto”. Una supplica per scarcerare lo statista “semplicemente, senza condizioni”. Era il 22 aprile 1978. Wualche giorno prima, il comunicato numero sei delle Brigate Rosse aveva spento ogni speranza: il prigioniero sarebbe stato condannato a morte.

«Uomini delle Brigate Rosse – si legge – lasciate a me, interprete di tanti vostri concittadini, la speranza che ancora nei vostri animi alberghi un vittorioso sentimento di umanità. Io ne aspetto pregando, e pur sempre amandovi, la prova».

Nella prima stesura, pare che il Pontefice avesse chiesto di rilasciare Moro «semplicemente, senza alcuna imbarazzante condizione». Quell’aggettivo scomparve nella versione definitiva, forse su indicazione di un ‘suggeritore’ rimasto ignoto. E non fu il solo cambiamento nella lettera firmata da Giovanni Battista Montini. Tutto il testo era stato limato, ogni parola era stata pesata, scelta con cura. Tra tratti di penna e correzioni si passò dalla prima versione a quella definitiva, resa poi pubblica. Ma chi raccomandò quelle modifiche, e perché?

Cancellare quelle parole non bastò ad evitare polemiche. Su quel «senza condizioni», più di quel «vi prego in ginocchio», sono stati scritti fiumi di inchiostro. Forse erano state scelte per non svelare le carte della una delicata partita che si stava giocando. Qualcuno ha anche insinuato che quella frase fece precipitare la situazione.

La fine di Moro fu per Paolo VI una tragedia umana e personale. Un dramma, si è detto, che lo ha logorato fino alla fine. Il Pontefice morì pochi mesi dopo, il 6 agosto 1978.