«Ma di quali eccellenze parlate quando nei vostri articoli raccontate la sanità pugliese che conosco bene dall’interno essendo stato fino a ieri un medico di base, un medico della mutua in uno dei paesini sperduti del nostro territorio? Quali sono queste eccellenze? E ammesso e non concesso che ci siano eccellenze dov’è l’umanità? E cosa è l’eccellenza senza umanità?»
È uno sfogo doloroso quello dell’uomo che ci contatta in mattinata, uno sfogo misto al pianto e alla delusione. Ha perso la moglie qualche giorno fa, ma ancora non si capacita. Era perfettamente consapevole che non c’era più nulla da fare per la sua metà, la compagna di una vita. La malattia era già in uno stato avanzato.
Ma c’è modo e modo per morire. «Vedere mia moglie in un letto d’ospedale senza essere mai visitata solo perché considerata terminale mi ha fatto male. Capisco tutto, c’erano di mezzo le vacanze di Natale e non pretendevo certo un trattamento di riguardo sol perché ero un loro collega. Ma vedere l’assenza di umanità, l’assenza di empatia, l’assenza di compassione e solo tanta tanta freddezza mi ha ferito. E ho promesso che l’avrei raccontato, perché quando si parla di sanità si parla della vita delle persone, in qualunque stadio essa si trovi su un letto di ospedale».
Sofferenza, c’è tanta sofferenza nelle parole di Gianluigi. Non si capacita del trattamento ricevuto. Quando la moglie ha saputo di avere un tumore in uno stadio avanzatissimo ha pensato di rivolgersi ad un Istituto del Nord Italia, uno di quelli che vengono considerati all’avanguardia in Europa, ma rientrata in Salento, in quell’ospedale da cui era partita dopo aver fatto i primi esami, cercando di fare tutto il possibile per salvarsi, si è sentita dire parole che sono apparse beffarde.
«Non vi siete affidati a noi dall’inizio, siete andati al Nord come se ci fosse un supermercato della salute in cui comprare cure migliori e adesso che sapete che non c’è nulla da fare ve ne tornate indietro!». Parole gravi, gravissime, che nella testa e nel cuore del medico in pensione che ci chiama sono sembrate autentiche pugnalate. «Hanno pensato che li avessimo bypassati e non voglio pensare che il trattamento ricevuto sia stato una conseguenza. Ma sette giorni senza ricevere la visita di un medico sono tanti, troppi».
Tira su con il naso Gianluigi andando indietro nel tempo, a quelle che sono state le ultime ore di vita della moglie.
«Chiedevo non solo come marito, ma anche come suo medico curante di somministrare la morfina e niente. Dicevano che sapevano loro quando l’avrebbero dovuto fare. Provavo a stare un po’ di più con mia moglie perché ero consapevole che sarebbero stati gli ultimi giorni dopo una vita insieme e venivo cacciato in malo modo dalla stanza quando gli orari non lo consentivano. La vedevo contorcersi dai dolori e non potevo fare nulla perché non potevo parlare con nessuno. Ma per le visite private a pagamento, c’erano eccome… Le avevo promesso che avrei raccontato tutto e adesso lo voglio fare perché non meritava di finire i suoi giorni così».
Abbiamo omesso in questa fase di fare riferimenti precisi a nomi e struttura, vogliamo saperne di più e chiedere ogni conferma. Non che le parole di Gianluigi non siano sufficienti, ma occorrono riscontri ancora più puntuali. E li otterremo, lo faremo in questi giorni. Ma il dolore di quest’uomo andava ascoltato e condiviso, perché siamo certi che l’umanità esista ancora nelle strutture sanitarie del territorio e che conoscere certe situazioni possa spingere ad utilizzarla in dosi ancora più massicce. O almeno lo speriamo.