
Giovanni Paolo I, il “Papa del sorriso”, se n’è andato in una notte di fine settembre, in silenzio. Senza far rumore dopo appena 33 giorni di pontificato. Pochi tanto che non ci fu nemmeno il tempo di forgiargli l’anello del Pescatore, ma sufficienti a conquistare il cuore della gente e dei fedeli per quel vento di rinnovamento che aveva portato nella Chiesa Cattolica già dalla scelta del nome: doppio e con l’ordinale, superfluo. “Giovanpaolo”, come veniva chiamato amichevolmente. Mai avvenuto in duemila anni di storia della Chiesa.
Nessuno avrebbe mai immaginato che la sua morte inattesa e improvvisa avrebbe fatto tanto ‘rumore’. Complice un clima di sospetto che si respirava all’epoca in una Italia ancora sconvolta dall’uccisione di Aldo Moro e alcuni errori nella comunicazione ufficiale sul decesso del Santo Padre, la fine di Albino Luciani diventò un mistero che dura da quasi mezzo secolo.
Qualcuno iniziò ad insinuare che la morte di Giovanni Paolo I – che aveva cominciato a “costruire” una chiesa umile e povera e arrivava dritto al cuore con le sue parole semplici e il suo viso sorridente (come quando paragonò l’anima ad un’automobile che funziona bene con olio e benzina, non a champagne e marmellata o quando recitò alcuni versi di «la vecchina cieca», una poesis di Trilussa, uno dei suoi autori preferiti) – non fu dovuta a cause naturali, a quell’ infarto miocardico acuto certificato dal dottor Renato Buzzonetti senza l’autopsia, non contemplata dalla Costituzione apostolica sul corpo dei pontefici. Ad onor del vero un precedente storico c’era stato: un esame necroscopico sul cadavere di Pio VIII.
Archiviata come tragedia, ma da sempre creduta un complotto, un omicidio architettato da alcuni cardinali che si opponevano alle riforme come quella dello IOR, l’istituto per le opere religiose, diretto da Paul Marcinkus, un nome collegato agli scandali finanziari sbattuti in prima pagina sulla stampa di tutto il mondo. C’è anche la pista dell’avvelenamento legata alla Massoneria. Leggende noir scritte nero su bianco in molti libri.
Le ultime ore di vita di Papa Luciani
Tutto ruota intorno all’ultimo giorno di vita di sua Santità, a quel pomeriggio del 28 settembre quando a detta di John Magee e Diego Lorenzi, il Papa avrebbe avuto un malore, un “dolore al petto e fitte accompagnate da un senso di oppressione”. Stando al loro racconto, Magee si premurò di suggerire al Papa di chiamare un medico, incontrando il suo rifiuto e quando lo accompagnò in camera, consigliò al Pontefice di suonare il campanello in caso di bisogno. C’è da dire che altri testimoni che avevano parlato con Luciani raccontarono di non aver notato nulla di strano nella sua voce o nel suo aspetto, “sereno, disteso e senza alcun segno di stanchezza” secondo Jean Villot, allora cardinale di Stato. Non è un dettaglio di poco conto, visto quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
Le lancette dell’orologio avevano appena segnato le 4:30 del 29 settembre 1978, un venerdì dell’anno dei tre Papi, quando suor Vincenza lascia sulla scrivania dello studio, comunicante con la stanza dove dorme Papa Giovanni Paolo I, una tazza di caffè, come era solita fare dal 1959, quando era vescovo a Vittorio Veneto. Un istante dopo bussa alla porta della stanza da letto e saluta il pontefice senza aprirla. Un quarto d’ora dopo, alle 4.45, suor Vincenza torna nello studio e nota che il bricco non è stato toccato. Sapendo che mai, in quasi vent’anni, Luciani si era alzato dopo le 4.30, la suora bussa ancora alla porta, prima timidamente e poi con maggior insistenza. Preoccupata, apre la porta e vede il Papa sdraiato sul letto, la testa reclinata a destra, le labbra dischiuse, gli occhiali poggiati sul naso e con in mano delle carte. Sul comodino la lampada è ancora accesa. “Santità, lei non dovrebbe fare questi scherzi con me”, dice. Allarmata dal silenzio, tocca il polso del Papa e si accorge che Giovanni Paolo I è morto. Richiamata dal trambusto enta anche una giovane religiosa, Margherita Marin. “Non aveva la faccia sofferente, era disteso, con un leggero sorriso, sembrava che dormisse”, racconterà.
Di quella notte e di quella morte questo è tutto quello che sappiamo. Nulla di più.
Gli errori
«La leggenda della morte violenta, o quanto meno sospetta, di Papa Giovanni Paolo I fu certamente alimentata da una serie impressionante di errori di comunicazione che vennero commessi subito dopo la scoperta del cadavere e da una serie altrettanto inquietante di inesattezze e bugie. Questi errori e queste bugie ebbero l’effetto di alimentare la macchina del sospetto, facendo da cassa di risonanza alle tesi dei più duri sostenitori del complotto per uccidere il Papa» si legge nel libro del giornalista Rai Antonio Preziosi dal titolo “Indimenticabile. I 33 giorni di Papa Luciani (casa editrice Cantagalli)”.
«Questa mattina, 29 settembre 1978, verso le 5,30, il segretario privato del Papa, non avendo trovato il Santo Padre nella cappella del suo appartamento privato, lo ha cercato nella sua camera e lo ha trovato morto nel letto, con la luce accesa, come se fosse intento a leggere. Il medico, dott. Buzzonetti, accorso immediatamente, ne ha constatato il decesso, avvenuto presumibilmente verso le 11 di ieri sera, per infarto acuto del miocardio» (Comunicato ufficiale della Sala Stampa della Santa Sede).
Dal comunicato ufficiale sparirono le suore. Un particolare che, insieme ad altre reticenze come la decisione del collegio cardinalizio di non autorizzare l’autopsia, trasformò le voci di omicidio in tesi che chiamano in causa la massoneria, la mafia, i servizi segreti. Versioni alternative a quella ufficiale che restano in piedi senza prove documentate che accreditino l’ipotesi di un complotto ai danni del Santo Padre
Non solo, il papa aveva in mano non il libro «l’imitazione di Cristo», ma un foglio con degli appunti, dei quali non si è detto e non si dirà nulla.
Ad alimentare dubbi e suggestioni fu senz’altro il clima pesante di quegli anni. Poco dopo saranno scritte alcune delle pagine più buie e drammariche della storia italiana, tutte legate con un filo rosso al Vaticano. Il caso Calvi, il banchiere dell’Ambrosiano che fu trovato impiccato il 18 giugno 1982 sotto il ponte londinese dei Frati Neri. Una morte che subito apparve sospetta. In una lettera inviata a Giovanni Paolo II, poco prima di essere ritrovato senza vita sotto, Calvi scrisse: “Sono stato io ad addossarmi il pesante fardello degli errori nonché delle colpe commesse dagli attuali e precedenti rappresentanti dello Ior (…) e sono io infine che oggi vengo tradito e abbandonato”.
La scomparsa di Emanuela Orlandi, figlia di un dipendente della Banca vaticana. E il coinvolgimento della banda della Magliana e di Enrico (detto Renatino) De Pedis seppellito nella basilica romana di Sant’Apollinare.