“Ho pensato di costituirmi, ma non l’ho fatto”. De Marco confessa: “sapevo che non l’avrei fatta franca”

Durante l’interrogatorio per la convalida del fermo il killer di Daniele De Santis e Eleonora Manta ha ammesso di aver pensato di costituirsi.

Dopo aver ucciso Daniele De Santis e Eleonora Manta con più di 70 coltellate, dopo aver infierito sui corpi dell’arbitro e della fidanzata che si sono difesi con tutte le loro forze e lo hanno implorato di fermarsi, Antonio De Marco, lo studente di scienze infermieristiche in cella con l’accusa di duplice omicidio aggravato dalla premeditazione e dalla crudeltà, ha pensato di costituirsi. Non lo ha fatto, visto che è stato fermato dai Carabinieri fuori dal “Vito Fazzi” di Lecce alla fine del turno in Ospedale, ma ha pensato di confessare prima di essere scoperto. Gli è venuto in mente quando è tornato alla sua vita di sempre dopo l’orrore.

Lo ha ammesso davanti al Gip Michele Toriello nel lungo interrogatorio in Carcere in cui, a monosillabi, ha ricostruito passo dopo passo non solo quella maledetta sera del 21 settembre, quando si è presentato nell’appartamento di via Montello entrando con una copia delle chiavi e con il volto coperto da un cappuccio ricavato da una calza di nylon su cui aveva disegnato con il pennarello la bocca e il contorno degli occhi, ma anche i pensieri che lo avrebbero portato a pianificare l’omicidio già da agosto, quando ancora viveva in quella stanza, in quella casa che voleva lasciare perché “scomoda” per raggiungere l’ospedale. Non c’erano autobus per arrivare in tempo alle 7.00, quando doveva timbrare e «quindi andavo a piedi» ha raccontato.

Per torturare, ammazzare i due ragazzi, ripulire la scena del crimine e lasciare la scritta sul muro Antonio De Marco aveva ‘calcolato’ un’ora e mezza di tempo. Lo aveva messo nero su bianco nei bigliettini persi durante la fuga, ma nel suo crono-programma dell’orrore non aveva considerato gli imprevisti: la reazione di Daniele che, quando si è ritrovato in casa quello ‘sconosciuto’ che stringeva tra le mani un coltello da caccia ha tentato di difendere Eleonora e se stesso con le forze che gli erano rimaste. Il massacro è durato meno di 10 minuti – nove per l’esattezza. E lo studente sapeva di aver commesso tanti errori (quelli che poi lo hanno incastrato), di aver lasciato dietro di sé una serie di indizi, nonostante le ‘accortezze’ come quella di nastrare le dita e indossare i guanti per non lasciare impronte.

Tracce che gli inquirenti hanno ricostruito per chiudere il cerchio tant’è che al Giudice per le Indagini Preliminari ammette «ho pensato che mi avrebbero preso, anche quando ho fatto la strada del ritorno, la sera stessa», quando è scappato via con lo “zaino più leggero”.

Non aveva capito di essere seguito, né di avere il fiato sul collo dei Carabinieri o almeno questo ha raccontato durante l’interrogatorio in cui ha ammesso di aver pensato di confessare prima di essere scoperto, ma non l’ha mai fatto. «Non so perché poi non l’ho mai fatto…» dice. A quel punto la domanda del Gip è precisa. «Speravi di farla franca?». «No, non credevo che l’avrei fatta franca» ribadisce.

 



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