
Il movente era la chiave per risolvere l’omicidio di Donato Montinaro, il pensionato di Castri ucciso nella sua abitazione che si affaccia su via Roma la sera del 10 giugno. Per dare un volto e un nome ai suoi assassini, i Carabinieri dovevano scavare nella vita privata dell’uomo, per trovare la strada giusta da seguire. Nessuna pista è stata esclusa, niente è stato lasciato al caso, anche per il passato dell’uomo che non ha permesso di escludere l’ipotesi di una vendetta per qualche errore commesso, ma fin dai primi, delicati, passi fatti per chiarire il giallo si è insinuato il sospetto che potessero centrare i soldi.
Il falegname non ha mai nascosto il “contenuto del suo portafoglio”, si vantava spesso con amici e conoscenti di custodire il denaro in casa, perché – diceva – non si fidava delle banche. Per questo è impossibile sapere con esattezza la somma, probabilmente considerevole, nascosta in quelle mura in cui è stato ucciso, mentre la figlia, incapace di capire cosa stesse accadendo in casa, era chiusa nella sua stanza. In una delle frasi intercettate dagli uomini in divisa, quando Angela Martella confida a Patrizia Piccinni “di aver fatto una fesseria per migliorare la vita”, gli investigatori leggono il movente di natura economica. Una possibilità difficile da dimostrare (perché, come detto, è impossibile sapere se e quanto denaro sia stato portato via dall’abitazione del pensionato), ma suggerita dalla ricostruzione dell’omicidio.
Una rapina finita in tragedia
Non è stato un omicidio premeditato, anche se il modus operandi, la violenza usata e gli ‘attrezzi’ trovati sul luogo del delitto depongono in questo senso (e quindi non si può escludere del tutto), ma una rapina finita nel sangue. Quella sera Montinaro ha aperto la porta ai suoi assassini, che probabilmente “attendeva” visto che l’ultima telefonata ricevuta, poco prima di morire, è stata quella di Angela Martella. I tre, forse, speravano di trovare i soldi che l’anziano pensionato si vantava di custodire in casa. E la sua resistenza a non svelare dove fosse nascosto il denaro “giustificherebbe” la violenza utilizzata nei suoi confronti. Chissà se, a suon di botte, lo hanno costretto a parlare… o se si sono accontentati della motosega che l’uomo aveva acquistato qualche tempo prima.
Gli anziani benestanti adescati
C’è anche un altro aspetto da considerare, non legato al delitto, ma utile a capire la personalità di Angela Martella e Patrizia Piccinni, «costantemente impegnate – come si legge nell’ordinanza – nella ricerca, anche attraverso i social network, di anziani benestanti ai quali chiedere somme di denaro in cambio di intrattenimenti telefonici e erotico-sessuali personali». Anche in questo caso, ad incastrarle sono le conversazioni telefoniche. In una del 1 luglio un uomo, consapevole delle difficoltà economiche di Angela Martella, le aveva proposto di contattare un suo amico, un pensionato benestante, che cercava una “compagna per la vita”, suggerendole anche le strategie per poterlo adescare. La sera stessa lo ha chiamato, riuscendo grazie ai consigli dell’amico a fissare un appuntamento “per conoscerlo e sedurlo”. A quell’incontro a Torre Lapillo, Angela non è mai andata, anche perché l’amico che le aveva dato il numero di telefono, aveva descritto l’uomo come “caratterialmente particolare e quindi non facilmente circuitile”. Insomma, ingannarlo non sembrava un gioco facile.
Anche Patrizia Piccinni, al pari della complice, adescava gli uomini per carpire denaro in cambio di prestazioni erotiche. Parlando di un uomo, in una intercettazione, lo definisce come «cliente».
Il Pubblico Ministero, in un passaggio, scrive: «Le due donne non fanno mistero di voler ricattare le loro vittime. minacciando di rendere pubbliche le registrazioni di momenti di intimità. Ciò, evidentemente, allo scopo di assicurarsi un profitto patrimoniale».