Omicidio Gabriele Manca: restano in carcere i tre indagati


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Restano in carcere i tre indagati per l’omicidio di Gabriele Manca. Il Tribunale del Riesame (Presidente Maria Pia Verderosa, relatore Anna Paola Capano, a latere Antonio Gatto) ha confermato la misura cautelare emessa dal Gip, rigettando l’istanza di scarcerazione della difesa.

Ricordiamo che nelle settimane scorse, i Carabinieri del R.O.S. hanno dato esecuzione ad un’ordinanza emessa dal G.I.P. Alcide Maritati – nei confronti di Omar Marchello, 39enne di Lizzanello; Carmine Mazzotta, 44enne di Lecce e Giuseppino Mero, 53enne di Cavallino, (tutti allo stato detenuti per altra causa), in quanto ritenuti responsabili di concorso in omicidio aggravato e porto abusivo di armi.

Gli indagati sono assistiti dagli avvocati Umberto Leo, Giancarlo Dei Lazzaretti e Fulvio Pedone.

Le condotte di cui i tre sono chiamati a rispondere, unitamente ad un quarto complice non destinatario del provvedimento cautelare, si riferiscono all’omicidio di Gabriele Manca, scomparso da Lizzanello il 17 marzo 1999 e di cui venne rinvenuto il cadavere il successivo 5 aprile in una zona di campagna ubicata sulla strada Lizzanello-Merine, a ridosso di un muretto a secco.

Le prime indagini permisero di accertare che il giovane, 21enne originario di Lizzanello, era stato attinto da alcuni colpi di pistola cal. 7,65 alle spalle, alcuni dei quali esplosi a breve distanza. La morte fu collocata temporalmente dal medico legale in epoca compatibile con il giorno della scomparsa.

Le indagini

Le indagini svolte all’epoca già consentirono di inquadrare il contesto criminale nell’ambito del quale era maturato l’agguato, essendo stata principalmente accertata l’esistenza di un aspro contrasto in essere tra la vittima e uno degli arrestati, Omar Marchello, il quale circa due anni prima dell’omicidio, nel corso di una discussione verosimilmente sorta per questioni legate al traffico di stupefacenti nel territorio di Lizzanello, sarebbe stato ferito al volto con un coltellino dallo stesso Manca.

A ciò era seguita la condotta ulteriormente irrispettosa che quest’ultimo avrebbe continuato a mantenere nei confronti di Omar Marchello, accusato platealmente di essere un “infame” per aver sporto denuncia nei confronti di Manca in seguito al ferimento.

Circostanze queste che, insieme alla fermezza con cui la vittima avrebbe deciso di spacciare stupefacenti senza la “autorizzazione” criminale sul territorio controllato da Marchello e dal gruppo a cui lo stesso faceva capo, si ritiene costituiscano, il valido movente per l’eliminazione di Gabriele Manca.

A distanza di tempo, le dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia e di altri testimoni hanno permesso di consolidare il quadro accusatorio. Tra questi, in particolare Alessandro Verardi, esponente di vertice della frangia del sodalizio mafioso operante su Merine, Lizzanello e Cavallino, su un’area territoriale comprensiva quindi della zona in cui viveva la vittima e in cui si era consumato l’omicidio, ha riferito che Omar Marchello decise l’eliminazione fisica del Manca insieme a Mazzotta, anche lui esponente del gruppo criminale operante su quel territorio e che l’agguato era stato teso grazie al contributo di Giuseppino Mero (anche lui attivo nel traffico di sostanze stupefacenti nella medesima area) che lo aveva condotto nella campagna dove ad attenderlo vi erano gli altri indagati.

Intanto, proprio nelle scorse ore, un testimone ha ritrattato le proprie affermazioni, rese nel febbraio del 2015, nell’ambito di un altro procedimento penale, innanzi al pubblico ministero Guglielmo Cataldi. Il giovane affermò di avere assistito a Pisignano, nell’estate del 2011, ad un’aggressione ai danni di una terza persona, per mano di Omar Marchello e altri complici. In quell’occasione, Marchello lo aveva espressamente minacciato, affermando testualmente: “e tie non ha istu nienti se no te fazzu fare la fine ca n’aggiu fattu fare allu Gabriele Manca mangiato te li cani intru alle campagne”.

Adesso, assistito dall’avvocato Alessandro De Matteis, il testimone ammette di avere fornito false dichiarazioni, attraverso un atto depositato in Procura, poiché spinto dall’astio verso Marchello. Dunque fa dietrofront e nega di aver mai assistito a quell’episodio (che invece gli sarebbe stato raccontato da un’altra persona) e di aver ricevuto minacce da Marchello.
In conseguenza di ciò, il pm Guglielmo Cataldi ha iscritto l’uomo nel registro degli indagati con l’accusa di calunnia.