Omicidio di Mattia Capocelli, il 28enne era uno dei ‘ragazzi di Padreterno’. Una spedizione punitiva dietro la sua morte


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Si chiamavano i «ragazzi di Padreterno», i componenti del gruppo criminale capitanato da Giuseppe Amato, considerato il deux ex machina dell’associazione di stampo mafioso smantellata all’alba nell’operazione «Tornado».

Nello spaccio di sostanze stupefacenti a Scorrano e Maglie, il clan non voleva avere rivali. Lo sa bene chi ha osato ‘intromettersi’ nei loro affari. Chiunque abbia cercato di intaccare il loro monopolio è stato messo al suo posto con la violenza e la paura, diventata per il gruppo una vera e propria roccaforte. La morte di Mattia Capocelli, il 28enne di Maglie ucciso davanti ad un fast-food con un colpo di pistola alla gola sparato quasi a bruciapelo, si inserisce in questo contesto criminale.

Il 28enne era stato abbandonato in fin di vita all’ingresso del Pronto Soccorso dell’ospedale di Scorrano, e sono stati i medici a chiamare le Forze dell’Ordine. Nessuna telefonata, invece, è partita dal luogo dell’omicidio, protetto da un “silenzio” che solo ora è più chiaro.

Cosa è accaduto quella notte in cui è morto Mattia?

Le lancette dell’orologio avevano da poco segnato l’una di notte, quando un gruppo di “ragazzi di padreterno”, tra cui Mattia Capocelli aveva ‘invitato’ Simone Paiano a raggiungerli alla rivendita ambulante di panini e bibite all’angolo con via Montegrappa.  Sono stati i Carabinieri a ricostruire quei drammatici momenti, grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali. Di certo, non hanno aiutato le dichiarazioni reticenti dei testimoni, di Paiano che ha aperto il fuoco, né tantomeno dei «ragazzi di padreterno».

Pezzo dopo pezzo, gli uomini dell’Arma hanno ricomposto il complicato quadro. Il delitto era stato l’epilogo forse non previsto di una ‘lotta’ per il controllo dell’attività di spaccio (e non solo) a Maglie e dintorni. Lo dimostrerebbe un’intercettazione secondo cui il 25enne, scappato dopo aver sparato a Mattia, sarebbe tornato al carro con la macchina: «è passato e sceso ed ha detto: “questo è solo l’inizio qua ci sono io capito? d’ora in avanti ci sono io…”». Come si legge anche nell’ordinanza firmata dal Gip Sergio Mario Tosi, l’affermazione di Paiano – forte di una possibile “investitura” ricevuta all’interno del carcere durante il periodo di detenzione – dimostrerebbe la sua volontà di voler ‘impossessarsi’ della piazza. Volontà che, come detto, contrasta con la pretesa egemonica del gruppo di Padreterno che aveva la organizzato la spedizione punitiva.

In un altro dialogo tra Matteo Presicce detto “Saulle” e Salvatore Rausa, conosciuto come Pizzileo, si fa riferimento al battesimo di Paiano con soggetti della criminalità brindisina. Una sorta di investitura ricevuta in cella. In particolare, Rausa precisava di aver avuto sempre una certa diffidenza, nei confronti di Simone definito come uno che ‘parla molto’, un malintenzionato: «quando è stato dentro mi hanno detto che ha fatto anche “il giuramento” quelli di Brindisi, ha fatto il battesimo…».

«L’organizzazione – come si legge nell’ordinanza – ferita per l’omicidio di un suo aderente e ancor di più per le affermazioni di Paiano si organizzava per vendicare platealmente l’affronto subito in modo da rinsaldare la propria forza di intimidazione». Per questo, il funerale di Capocelli «è strato trasformato da un momento di lutto e riflessione in una esibizione della potenza del gruppo, mediante l’uso di fuochi d’artificio e attestati vari di cordoglio». E sempre per questo, era nata la ‘necessità’ di prendere di mira la famiglia del 25enne. In un’intercettazione, dopo l’ultimo saluto a Mattia, si parlava di ritorsioni da mettere in scena con le dovute ‘precauzioni’, probabilmente per la presenza delle forze dell’Ordine. Terribili le parole, “fate tremare Maglie con quella cosa, fatela tremare” e ancora “Dobbiamo fare tanto danno, danno su danno dobbiamo fare a questi pezzi di merda…”.

L’ordigno fu confezionato utilizzando la polvere di 30 cobra (grossi petardi) e una bombola di gas, ma non piazzato. La sera del 28 aprile, Matteo Presicce e Federico Russo, detto Pata, hanno dovuto rinunciare a posizionare la bomba rudimentale perché avevano notato la presenza di un’auto dei Carabinieri. L’ordigno era stato nascosto e recuperato poi dagli uomini in divisa anche grazie all’intervento degli artificieri.