L’omicidio del procuratore Pietro Scaglione, il primo giudice ucciso dalla mafia


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5 maggio 1971. Il procuratore capo della Repubblica Pietro Scaglione si trovava in via dei Cipressi, alla periferia di Palermo. Come faceva ogni giorno era stato al Cimitero dei Cappuccini, per posare un fiore sulla tomba della moglie Concetta, scomparsa quattro anni prima. Un giorno qualunque, iniziato con una preghiera come aveva fatto da quando un male incurabile se l’era portata via, diventò una pagina di storia. Mentre andava a lavoro con il fedele Antonio Lorusso, al volante della Fiat nera il giudice fu ucciso. Cosa accadde nel quartiere Ziza, nessuno lo ha mai raccontato. Nessuno ha visto nulla. Nessuno osò parlare di mafia. Cosa nostra non si era mai spinta a tanto. C’era stato un confine che non era mai stato oltrepassato, non poteva essere oltrepassato. Non fu così.

Il primo omicidio di Cosa nostra

Giunto a 65 anni, Scaglione stava per trasferirsi a Lecce. La sua carriera palermitana scandita dalle indagini sulla strage di Portella della Ginestra e sulle malefatte del bandito Giuliano e dal processo per l’uccisione del sindacalista Salvatore Carnevale e della strage di Ciaculliera era chiusa. Sarebbe stato uno degli ultimi giorni di vita siciliana, ma ‘qualcuno’ lo ha tolto di mezzo. Sicari senza volto né nome che da una Fiat 850 hanno premuto il grilletto. Sul procuratore e il suo autista furono ‘scaricate’ due raffiche. Morirono sul colpo.

Per alcuni minuti, intorno all’automobile nessuno osa avvicinarsi. Fu una chiamata anonima a lanciare l’allarme: “Ci sono due uomini coperti di sangue su un’auto in via dei Cipressi”.

‘Lucianeddu’

L’omicidio del procuratore rimase insoluto per lungo tempo. Per conoscere la verità bisognerà attendere il 1984 e le rivelazioni di Tommaso Buscetta al giudice Giovanni Falcone: «Scaglione era un magistrato integerrimo e spietato persecutore della mafia». C’era un nome. L’omicidio porta la firma di Luciano Liggio, Lucianeddu, la ‘primula rossa di Corleone’ come veniva chiamato da quando era ‘sparito’ da una clinica di Roma, dove era stato ricoverato per una infezione ai reni. Sulla sua testa pendeva una condanna ergastolo. Non era solo quella mattina di maggio. Con lui c’era il suo vice, tal Salvatore Riina.

Lucianeddu, l’uomo che aveva macchiato la figura del magistrato (accusato di aver favorito la fuga del boss dalla clinica) era il mandante dell’omicidio.

Ma nel 1991 chi indagava dovette concludere che non ci fosse nessun convincente elemento di accusa nei loro confronti. Falcone scriverà che l’omicidio di Scaglione «ebbe lo scopo di dimostrare a tutti che Cosa nostra non soltanto non era stata intimidita dalla repressione giudiziaria, ma era sempre pronta a colpire chiunque ostacolasse il suo cammino».

Il collegamento con la scomparsa di De Mauro

Qualcuno ha collegato la morte del Procuratore con la scomparsa del giornalista Mauro De Mauro. La sera del 16 settembre 1970 salì sulla sua Bmw color blu notte e si diresse verso casa. Lungo la strada, si fermò in un bar che si affaccia su via Pirandello Comprò una bottiglia di bourbon e quattro etti di caffè macinato. Poi ripartì. Dieci minuti dopo le 21.00, il giornalista arrivò sotto casa e lì fu sequestrato.  Il suo corpo non fu mai trovato.

Per alcuni fu strangolato perché “scriveva articoli fastidiosi contro gli uomini d’onore, i mafiosi”. Per altri perché aveva in mano uno scoop sulla morte del presidente dell’Eni, Enrico Mattei. C’è una uterza ipotesi: dietro la morte di De Mauro poteva esserci il golpe Borghese, il colpo di Stato organizzato da Junio Valerio Borghese si diceva con l’aiuto di Cosa Nostra.