Quando fu scoperto il corpo senza vita di Teresa Buonocore, uccisa con quattro colpi di pistola calibro 9 sparati a distanza ravvicinata, la prima sensazione fu quella di essere davanti ad un omicidio inspiegabile. C’era qualcosa di “strano” in quel delitto avvenuto in pieno giorno. Un agguato che suggeriva uno ‘stile’, quello della Camorra.
Teresa stava andando al lavoro, al volante della sua Hyundai Atos di colore grigio chiaro, quando in via Ponte dei Francesi si ritrova accanto due ‘sconosciuti’ in sella ad uno scooter che premono il grilletto. Quattro colpi per togliere di mezzo la donna, mamma di quattro figli. Un regolamento di conti? Una vendetta? Qualcosa non tornava.
Teresa Buonocore era una persona per bene che si divideva tra due lavori – faceva la segretaria nello studio di un avvocato penalista di Napoli e la guida turistica – per non far mancare nulla alla sua famiglia, alle sue bambine che cresceva da sola. Non aveva mai avuto alcun legame con la criminalità, non era legata sentimentalmente a qualche boss, nulla che potesse spiegare quell’esecuzione.
Nonostante lo smarrimento iniziale, non resterà un omicidio irrisolto. A condannare a morte la 51enne di Portici era stato Enrico Perillo, “un imprenditore di Torre Annunziata” o “un geometra di 53 anni”, come raccontavano le confuse cronache giornalistiche dell’epoca, che aveva abusato della figlia di Teresa, di otto anni e di un’altra bambina. Era stata la donna, con la sua coraggiosa testimonianza, a farlo condannare.
Ammazzata perché aveva difeso la figlia
Secondo la giustizia era accaduto proprio questo. Teresa Buonocore era stata uccisa per aver difeso la sua bambina dalla violenza di un adulto. Per capire tocca fare un passo indietro. Tutto comincia quando la figlia maggiore della donna conosce a scuola un’altra bambina, figlia di Perillo. Le due diventano amiche e passano molto tempo insieme in casa dell’uomo, tra l’altro un vicino. Con loro c’è anche un’altra compagna di classe. Tra quelle mura si consuma la violenza, nel silenzio. Le piccole, terrorizzate, proteggono quel segreto orribile fino a quando una ‘confidenza’ ha permesso di scoprire la verità. Teresa è inamovibile e lottò con tutte le sue forze per avere giustizia. E la giustizia non si può comprare. La giustizia non vale 120.000 euro, la somma che la mamma-coraggio rifiutò per ritirare la denuncia, per rimangiarsi quelle accuse terribili.
La svolta
I primi a crollare sono i killer. Arrivare a loro non è stato difficile. Uno si è “tradito”, denunciando il furto dello scooter usato nell’agguato. Caso chiuso? Per nulla. Durante l’interrogatorio confessano e puntano il dito contro l’uomo accusato di violenza. Ricostruendo l’omicidio si arriva al mandante, Perillo, condannato all’ergastolo.
«Mi diceva di non dire niente. Mi mostrava la pistola e mi diceva che se avessi raccontato qualcosa a mia madre l’avrebbe uccisa con quell’arma. Le violenze avvenivano quando le mie amiche (figlie di Perillo), stavano nella loro camera a giocare al computer». Con queste parole la figlia di Teresa aveva raccontato le violenze. L’orco aveva mantenuto la promessa e le aveva ammazzato la mamma per vendetta.