
Si conclude con la condanna, il processo a carico dei fratelli Leo, noti imprenditori edili, per la morte di un operaio nel cantiere di un opificio industriale. Il giudice monocratico Fabrizio Malagnino ha inflitto 1 anno e 4 mesi di reclusione (minimo della pena e sospensione della stessa) con il riconoscimento delle attenuanti generiche a Massimo Leo, 56enne, in qualità di legale rappresentante della Leo Costruzioni Spa ed Elio Leo, 58 anni, nello stesso ruolo, ma della ASTRA srl. I due fratelli, entrambi di Lequile, rispondevano dell’accusa di omicidio colposo ed il pm Donatina Buffelli aveva invocato la condanna a 2 anni. Sono entrambi assistiti dall’avvocato Luigi Covella, il quale una volta depositate le motivazioni della sentenza (entro 90 giorni), presenterà ricorso in Appello.
Invece, l’altro imputato Antonio Rinaldi, 62 anni di Lecce, direttore dei lavori e coordinatore della sicurezza, venne condannato ad 1 anno e 2 mesi con il rito abbreviato ed il processo è pendente in Appello. L’imputato è difeso dall’avvocato Francesco Vergine.
Secondo il sostituto procuratore Paola Guglielmi, gli imputati sarebbero stati responsabili della morte dell’operaio di Copertino, Maurizio Barbarossa, deceduto il 3 giugno del 2014. Egli stava lavorando nel cantiere dell’opificio della Demar (appaltato dalla Leo e subappaltato dall’ASTRA), nella zona industriale di Lecce. Barbarossa era impiegato nella realizzazione di travi a sbalzo, come appoggio per la successiva messa in opera del solaio e si trovava sull’ultimo ponteggio, quello collocato più in alto sull’impalcatura. Udendo degli scricchiolii, provenienti dall’armatura di sostegno, decise di scendere e di recarsi nella parte interna del fabbricato, ma tentando di salire sull’impalcato della cassaforma (un contenitore, che sarebbe stato collegato in maniera inadeguata) venne investito dal crollo dell’impalcatura. Il corpo oramai privo di vita di Barbarossa fu ritrovato ai piedi del muro perimetrale interno e affianco ad esso, l’impalcatura del fabbricato terminata al suolo. Barbarossa riportò varie lesioni mortali degli organi vitali.
Le indagini, si basarono, anzitutto, sugli accertamenti eseguiti dagli Ispettori dello Spesal e su di una consulenza tecnica dell’ingegnere Antonio Vernaleone, sulla dinamica dell’incidente.