Gli ordini dal carcere, i summit e le accortezze per mantenere i segreti. Così è stato ricostruito il clan


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Basta citare il nome dell’operazione per ricostruire il quadro che ha portato al blitz scattato alle prime luci dell’alba. «Filo di Arianna», così è stato soprannominato, perché come Teseo riuscì a trovare la strada per uscire dal labirinto grazie al gomitolo di lana che la fanciulla gli aveva donato, così il clan smantellato nel 2018 ha provato a riorganizzarsi, muovendo le pedine all’interno per non perdere il controllo del territori. Chi era finito dietro le sbarre aveva continuato a ‘guidare’ l’associazione mantenendo una posizione di vertice, chi era fuori aveva preso le redini degli affari, come quello del traffico di stupefacenti. Cocaina, eroina e marijuana, distribuita tramite una fitta rete di spacciatori, in contatto con i ‘capi’ di altri gruppi criminali del Salento.

Gli ordini dal carcere

Dopo l’arresto di Saulle Politi, volto noto alla cronaca locale, era toccato a Gabriele Tarantino guidare il clan. Era stato lui a eseguire gli ordini scritti, nero su bianco, nelle lettere scritte dal capo.  E questo nonostante fosse finito a Borgo San Nicola, dopo l’operazione Labirinto. Fino al 2019 ci è riuscito grazie ai colloqui in carcere con la moglie e il cugino a cui ‘suggeriva’ le direttive per gestire l’attività, dopo grazie agli arresti domiciliari ottenuti per «motivi di salute».

Nonostante abbiano avuto l’accortezza di usare un linguaggio in codice, il ruolo di Tarantino emerso nelle intercettazioni sembra chiaro:  ‘rassicurava’ i suoi sul rapporto “di privilegio” con gli altri detenuti, forte della sua caratura criminale, al fine di consolidare, come uno specchio,  la sua posizione anche all’esterno, come quando si preoccupa di smentire (e chiede ad un suo sodale di intervenire) la notizia che un detenuto era stato picchiato, ritenendo che queste indiscrezioni potessero in qualche modo minare la stabilità del sodalizio mafioso.

Non solo, si occupava del sostentamento ai detenuti e degli affari. Insomma, come si legge nell’ordinanza, i colloqui sembravano confermare il carattere gerarchico dell’organizzazione, la capacità intimidatoria, il controllo del territorio e la ‘segretezza’ del vincolo, imponendo riservatezza nelle comunicazioni, una sorta di omertà, interna ed esterna.

Certo c’era bisogno di un nome forte all’esterno. Quel nome, secondo gli inquirenti, era quello di Antonio Giordano, classe 1972. Dopo l’arresto di Politi e Tarantino era stato lui ad assumere la direzione del clan, avvalendosi di un nutrito gruppo di sodali, incaricati della gestione di diverse attività, dal traffico di cocaina, eroina, hashish e marijuana, alle estorsioni. Anche in questo caso, ci sono numerose intercettazioni che dimostrano come abbia preso lui le redini del sodalizio.

I summit

I summit erano un altro modo per prendere le decisioni, per programmare le attività secondo le direttive impartite da Tarantino. Non erano delle semplici ‘riunioni’, ma incontri organizzati con tutte le accortezze del caso per garantire la segretezza del clan. Si utilizzavano ingressi secondari, auto di altre persone, si adottavano ‘cautele’ per non essere notati (coprendosi ad esempio la testa con un cappuccio) o per eludere eventuali indagini attraverso la “bonifica” della zona o utilizzando frasi in codice, tipo “sto comprando il pane…” per indicare il luogo della riunione, accanto ad un supermercato.

La segretezza

La cautela era usata non solo durante le riunioni, ma in tutte le comunicazioni, pensate, pesate, studiate a tal punto che il Pubblico Ministero parla di “ossessiva attenzione”. I cellulari usati per comunicare tra loro erano tutti criptati. Se da un lato questa accortezza ha reso difficile ricostruire i colloqui, dall’altro ha aiutato gli investigatori perché – come si legge nell’ordinanza – il fatto di usare questi particolari apparecchi « ha facilitato una certa scioltezza in talune comunicazioni degli indagati, che si sentivano “liberi” di comunicare con linguaggio esplicito o comunque poco criptico, se è vero che numerose sono state le fotografie di stupefacente e banconote “sottovuoto” acquisite alle indagini».

Sapevano che potevano essere intercettati. E il timore li aveva spinti anche bonificare locali e auto, avvalendosi di esperti, di professionisti in grado di ‘scovare’ eventuali microspie. In una intercettazione, viene richiesto l’intervento di un “amico idraulico” per controllare una abitazione. «Chiedi se può venire l’amico…. quello idraulico che devo montare i pannelli solari termici e giacché faccio dare una controllata con il macchinario».

Per sicurezza, comunque, venivano usati strumenti “ per combattere le cimici” intendendo i dispositivi utili per “disturbare” il segnale di ricezione e trasmissione di eventuali microspie, così da impedire la captazione delle loro conversazioni. Perché si sa, l’accortezza di parlare a voce bassa o per metafore poteva non bastare.

L’attività di elusione delle indagini si attuava anche attraverso un controllo ossessivo dell’operato della forze dell’ordine al fine di scoprire eventuali iniziative nei loro riguardi. Come? Usando telecamere di videosorveglianza

I rapporti tra clan

Altro tassello importante per controllare il territorio erano i rapporti “di non belligeranza” tra clan diversi. Nell’ordinanza sono stati ricostruiti i legami tra il capo clan di Carmiano e Gabriele Tarantino, la preoccupazione per le capacità gestionali dell’uomo che aveva preso le redini del clan Nocera, dopo la cattura del capo, ritenuto non all’altezza delle responsabilità che derivavano da tale ruolo. C’erano “regole” ben precise da rispettare

Non solo, nell’ordinanza emergono anche i rapporti con i capi di altri clan vicini alla Sacra Corona Unita e con i vertici della cosca di ‘ndrangheta “Mammoliti-fischiante”.