«Quante ce ne siamo scampate…e qua hanno tentato di denunciarci per le “coglionate”, invece no? … se erano andati a trovare veramente le cose giuste vedi che saremo già finiti in gattabuia da…». Questa intercettazione del 31 dicembre 2017 dimostrerebbe, secondo il Giudice per le indagini preliminari Cinzia Vergine, l’esistenza del sistema creato da Luciano Cariddi, ex primo cittadino di Otranto e candidato al senato della repubblica nelle elezioni politiche del 4 marzo 2018, con il suo “alter-ego”, Pierpaolo, che ha raccolto l’eredità (e la fascia tricolore) lasciata dal fratello. Un sistema fondato sul do ut des in cui il politico per consolidare il proprio consenso avrebbe intrattenuto rapporti privilegiati con imprenditori-amici che, dopo averlo aiutato nella campagna elettorale, “battevano cassa” convinti di poter investire sul territorio senza incorrere in ostacoli burocratici.
“Burattinai”, li definisce il Gip, interessati – si legge – a ottenere vantaggi in ambito politico, ma anche professionale, insieme con almeno quattro imprenditori che hanno interessi economici in una città, come quella di Otranto, dal forte appeal turistico.
Il cuore del sistema era l’ufficio tecnico, trasformato, come è scritto nell’ordinanza, in un centro di gestione del potere, segno inequivocabile – si legge – della spregiudicatezza e della disinvoltura degli indagati, tutti nomi legati a quella stanza strategica del Comune e ora accusati di far parte dell’organizzazione dell’associazione: il geometra Giuseppe Tondo, responsabile dell’area ambiente, patrimonio, protezione civile e pubblici spettacoli da poco in pensione, Roberto Aloisio, ingegnere addetto all’Ufficio tecnico-demanio del Comune di Otranto e Emanuele Maggiulli, responsabile dell’area tecnica. Grazie alla loro “complicità”, i fratelli esercitavano il controllo del territorio, un territorio “svenduto”.
Il ritrovamento della microspia
La spregiudicatezza, filo conduttore per tutti gli indagati, è dimostrata anche in un altro episodio: il ritrovamento delle microspie nell’ufficio del Sindaco, Pierpaolo Cariddi, trovate ufficialmente per caso durante la sostituzione di alcune lampadine a led. Già perché il Gip mette anche in dubbio la “casualità” della scoperta.
«Neppure la consapevolezza dell’indagine derivante dal rinvenimento delle microspie (della cui casualità vi è da dubitare) – scrive il Gip – ha costituito una remora per gli indagati». Cosa dimostrerebbe che qualche sospetto c’era? Un episodio in particolare. Mesi prima, a novembre, Cariddi avrebbe invitato un suo illustro interlocutore a spostarsi dal suo studio professionale (andiamo in strada, poi torniamo) per affrontare un argomento evidentemente ritenuto “delicato”, dimostrando di non sentirsi al sicuro.
Certo è che, anche avendo certezza dell’indagine, questa non avrebbe fatto da deterrente.
Il centro del potere, l’ufficio tecnico
Il centro di gestione del potere, come detto, era l’ufficio tecnico. Nelle oltre 900 pagine di ordinanza, si parla anche «dell’influenza vantata dagli indagati che hanno esercitato o esercitano le loro funzioni all’interno dell’amministrazione comunale su altri funzionari o dipendenti di altri uffici, tale da riuscire a imporre anche azioni e comportamenti strumentali al raggiungimento dei propri obiettivi senza neppure dover fornire una qualsivoglia motivazione».
Le esigenze cautelari per Pierpaolo Cariddi
L’unica misura adeguata per Pierpaolo Cariddi, scrive il Gip, è quella della custodia cautelare in Carcere. «Ogni altra diversa misura (anche quella degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico) – scrive il Giudice – appare allo stato inadeguata». «Cariddi – continua – ha mostrato una forte propensione a delinquere, dimostrando un’indole spregiudicata e sfrontata nell’ideazione della azione criminosa, reiterando senza alcuna remora e per un lungo arco temporale le gravi condotte criminose contro la pubblica amministrazione. E considerato che la condotta non si presenta come occasionale ed episodica, pertanto necessita di ampia tutela».