Furti in serie nelle chiese del Salento: Procura presenta il conto alla banda


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La Procura presentata il conto alla banda specializzata nei furti in serie nelle chiese del Salento. Il pubblico ministero Roberta Licci ha chiesto 12 anni per Emanuele Zompì, 28enne; 8 anni per Lucio Parrotto, 29enne. E poi, 5 anni e 6 mesi pet Antonio Valentino, 38enne; 6 anni e 8 mesi per Luigi De Micheli, di 26 anni; 4 anni e 11 mesi per Gianluca De Paolis; 3 anni e 6 mesi per Antonio Sergio Crisigiovanni, 28enne; 1 anno e 8 mesi ad Antonella Stefano, 25enne ed a Veronica Iacobazzi, 31enne. Gli imputati sono tutti di Casarano.

Devono difendersi a vario titolo dall’accusa di “associazione per delinquere finalizzata ai furti e alla ricettazione“. La sentenza è prevista per il 26 ottobre prossimo dinanzi al gup Vincenzo Brancato. Invece, in un’udienza precedente la Chiesa di Parabita si è costituita parte civile.

Nei mesi scorsi, alcuni indagati durante l’interrogatorio di garanzia hanno negato di far parte di un’associazione a delinquere, ammettendo le proprie responsabilità, solo in merito a singoli episodi.

Sono assistiti dagli avvocati: Mario Coppola, Luca Puce, Selene Mariano, Attilio De Marco, Carmela Palese, Marco Costantino.

I fatti

L’indagine, nata a seguito di un fermo stradale nel 2015, ha portato ad accertare 22 episodi di furti ai danni di chiese o parrocchie in vari comuni della provincia di Lecce, per un valore che oscilla dai 200 ai 250mila euro. Secondo gli investigatori, i nove arrestati avevano messo in piedi una banda molto ben organizzata dedita ai furti in molte chiese del Salento, nelle quali avevano fatto razzia di offerte dei fedeli, paramenti sacri e preziosi ex voto.

I luoghi in cui si sono svolti i colpi

Ad essere prese di mira le istituzioni religiose dei comuni di Cannole, Carpignano, Collepasso ,Corigliano, Matino, Melissano, Miggiano, Minervino, Montesano Salentino, Muro Leccese, Neviano, Parabita, Poggiardo, Ruffano, Sanarica, Sternatia, Supersano e Tricase.

L’indagine a opera dei Carabinieri è stata ribattezzata “Santi Medici”, dal nome della chiesa del comune di Neviano. Il denaro trafugato nelle parrocchie a volte veniva usato per il sostentamento quotidiano, altre, per essere reinvestito nell’acquisto di armi e droga.