Uno dei metri con cui è possibile misurare la civiltà di un popolo è, senza dubbio, dato dal modo in cui questo rispetta la propria storia e i propri morti ma, se siamo qui a raccontare dell’ennesima profanazione condotta in un cimitero, si deve presumere che di civiltà, in giro, deve esserne rimasta davvero poca.
A pagare le spese di questa nuova dimostrazione di strafottenza vandalica è toccato, stavolta, a San Michele Salentino (BR) dove, non più tardi di ieri, alcuni residenti, recatisi a rendere omaggio ai propri defunti nel sepolcreto locale, sono stati costretti ad assistere a uno spettacolo a dir poco macabro.
Le lapidi in marmo di una quarantina di tombe, infatti, si sono mostrate loro distrutte e saccheggiate dei rispettivi ornamenti in ottone, vera mira, evidentemente, di una razzia che ha visto il trafugamento di quasi una cinquantina tra fioriere e orpelli vari.
È trascorso poco più di un mese da quando, lo scorso 8 ottobre, un episodio simile si era verificato nel camposanto di San Vito dei Normanni come, pure, a Vernole due settimane prima, il 24 settembre.
Lo sgomento, ieri come nei casi precedenti, è sempre tanto, non già per il furto di un candelabro o un vaso in sé quanto per il fatto che, per due lire, c’è chi è disposto anche a disturbare il sonno di chi ci ha preceduti in questa vita.
“Chi se ne frega – avranno pensato – tanto ormai sono morti, cosa vuoi che se ne facciano?”. Eccoci, quindi, tornare alla considerazione iniziale: se il valore di un oggetto, qualsiasi esso sia, va soppesato sulla scorta del profitto materiale che può procurare piuttosto che per la sua capacità di perpetrare il ricordo e l’affetto di e per qualcuno allora, sì, è perfino superfluo parlare di civiltà.
Luca Nigro