Si oppose al clan, 24 anni dopo fatta luce sul delitto di Carmine Greco


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Era il 13 agosto del 1990 quando Carmine Greco, detto Nené, attirato con una scusa in un terreno coltivato ad uliveto in zona “Nanni”, alla periferia di Gallipoli, venne ucciso a sangue freddo da quattro colpi di pistola, una Walther Ppk calibro 7,65, a pochi metri di distanza dalla sua abitazione, dove viveva con la moglie e il figlio. Due lo raggiunsero al torace, due alla testa. Un omicidio avvenuto in un momento in cui la Sacra Corona Unita non era disposta ad accettare alcuna “autonomia operativa” da parte dei boss locali, in quanto l’organizzazione strutturata in modo “piramidale” come dichiarato dallo stesso Procuratore Capo della Repubblica, Cataldo Motta, nella conferenza stampa di questa mattina, non tollerava in alcun modo che si superasse la linea tracciata dai capi.  Lo dimostra la fine che ha fatto Nené Greco, reo di aver tentato di gestire da solo il traffico di eroina nella città bella e punito per quest’affronto proprio con la morte.
 
24 anni dopo, per quel brutale delitto, i carabinieri della sezione di Polizia Giudiziaria, hanno arrestato Marcello Padovano, detto “Brioscia”, 53enne di Gallipoli e Nicola Greco, detto “Nico”, 44enne di Lecce. Uno è il mandante, l’altro l’esecutore materiale dell’assassinio. Padovano è stato bloccato nella sua abitazione nella perla dello ionio, mentre Greco è stato fermato con una manovra abbastanza repentina dei Carabinieri in una strada, a Lecce, mentre si trovava alla guida del suo furgone. Entrambi ora dovranno rispondere di omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi.
 
I loro nomi, in realtà, si aggiungono ai due già ‘giudicati’ per l'uccisione di Nenè: Pompeo Rosario Padovano considerato l’altro mandante (l’uomo è stato condannato all’ergastolo in maniera cumulativa anche per l’omicidio del fratello) e Carmine Mendolia, l'altro esecutore, coinvolto anche lui nel delitto di Salvatore Padovano, storico boss della Scu, meglio conosciuto come Nino Bomba.
 
Il movente, come detto, è la gestione del traffico di sostanze stupefacenti, in particolare eroina, che doveva avvenire sotto il completo controllo dei Padovano.
 
È stato possibile chiudere il cerchio a distanza di così tanto tempo grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Già nel 1994, le parole di Marco Barba avevano fornito alcuni particolari utili ad individuare i responsabili, ma all’epoca fu ritenuto assolutamente inattendibile a causa delle numerosi “contraddizioni” emerse nelle sue versioni. «Ci fece una pessima impressione – ha dichiarato Motta –  il suo “livello di attendibilità” era scarso, un po’ diceva, un  po’ non diceva, un po’ si dichiarava matto o più probabilmente simulava solo una follia».
 
Più significative, invece, le rivelazioni del fratello, Giuseppe Barba. Solo in quel momento è stato possibile mettere tutti i tasselli al loro posto. Lo stesso Marco ha poi finalmente raccontando la verità, una verità che conosceva avendo inconsapevolmente accompagnato gli esecutori sul luogo dove poi sarebbe stato commesso l’omicidio.
 
Per Michele Padovano e Nico Greco si sono aperte le porte della casa circondariale di Lecce, in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Vincenzo Brancato, richiesta dai pm Antonio De Donno e Stefania Mininni.
 
«Le difficoltà in questa vicenda – ha dichiarato Motta- sono state legate alle dichiarazioni spesso in contrasto, arrivate all’ultimo momento. Con questo la Procura di Lecce ha risolto quasi il 100% degli omicidi commessi nel Salento. È per noi una soddisfazione, poche Procure in Italia possono vantare questi risultati».